"Il Regno", di Emmanuel Carrère

Compiti fatti: letto Carrère. Poi però funziona che devi anche leggere quello che hanno scritto tutti gli altri, di Carrère, se no rimani a metà del guado, e lì, coi piedi a mollo, ci si raccapezza un po’ meno. 
Perché ci sono quelli che prima di parlare de “Il Regno” dedicano i primi otto paragrafi alla biografia dell’autore e relative opere (altruistico e onesto intento di rendere edotto anche il lettore digiuno o mero vezzo autoreferenziato così per dire che sì, Carrère lo si conosce da tempo, e insomma se non hai mai letto niente ci sono io a darti modo di colmare la gravissima lacuna? Oppure perché alla fine, de “Il Regno”, non hanno poi così tanto da dire? Boh); ci sono quelli che siccome Carrère è Carrère, è tutto meraviglioso, geniale, superbo e indimenticabile a prescindere, e poi quelli che siccome Carrère è Carrère lo stronchiamo subito ché facciamo prima. 
E poi ci sono gli uomini di buona volontà che siccome è onestamente abbastanza difficoltoso inserire il testo in una qualsivoglia categoria (saggio? autobiografia? Non fiction narrative? romanzo di fantascienza?) navigano a vista e speriamo che il cielo gliela la mandi buona. 
Poi, infine, ci sono quelli che ce la fanno. 
Ecco, io vorrei occuparmi di questi ultimi.

C’è da dire in primis che leggendo “Il Regno”, il vero e unico atto di fede che ci si trova costretti a fare è quello di dar credito a quel Carrère …filologo (?) che non si prende mai la briga di citare (né nel testo, né  in nota – ah, le note, queste sconosciute) i riferimenti bibliografici delle opere a cui dice di essersi appoggiato per le sue ricerche. Strano a dirsi, ho dovuto faticare non poco per recuperare, almeno in italiano, qualcuno che avesse parlato di questo fatto abbastanza rilevante della valutazione storico-esegetica del testo; alla fine ho trovato qui, su Lettere Paoline, quello che mi interessava. Insomma, Carrère già all’inizio dell’opera ci pone di fronte a un dilemma: credere o non credere. Sì, ma a lui, mica all’assunto teologico della Resurrezione. 
Come nei romanzi di fantascienza distopica il patto tra autore e lettore si esplica nell’accettazione di una certa contestualizzazione data di fatto, e presa per buona, così è per “Il Regno”: o ci credi e non ti fai tante domande su come il pluripremiato romanziere sia arrivato a certe conclusioni, oppure i conti non tornano. Poniamo che ci crediamo. (Una nota margine la metto io: ragà, rifletteteci prima di scrivere cose del tipo “enciclopedico e/o scrupoloso lavoro di ricerca documentaria” et similia).

Di nuovo, il rapporto tra l’autore e il lettore (non più “credulità popolare” ma “incredulità dell’intellettualità illuministica”è ben descritto qui, in un articolo dell’ Huffington Post a firma Massimo Faggioli, specialmente dal paragrafo sulle tre ragioni per cui “Il Regno” merita di essere letto. 

Passando poi alla questione della struttura del testo, rimando all’articolo di Luigi Grazioli su Doppiozero, che ha il merito, tra gli altri, di un bella sintesi su “le principali componenti del libro e i loro livelli”: “1 – Storia (documentaria, congetturale e romanzata: né peplum, né romanzo storico però) delle origini del cristianesimo; 2 – Storia della scrittura del libro; metanarrazione; saggismo; 3 – Storia personale di Emmanuel Carrère; 4 – narrazione della sua esistenza attuale e il dialogo con il lettore (implicito e esplicito); 5 – Rimescolamento di tutti questi ingredienti attraverso continui raffronti e esemplificazioni e i continui ribaltamenti dei piani temporali: storici e personali”

Per quanto riguarda una valutazione complessiva dell’opera, non credo sia possibile prescindere dall’intervento di Marina Valensise su “Il Foglio” di cui ho apprezzato in maniera particolare l’impronta accademica e la scrittura limpida e precisa. (Ripreso da tutti l’ormai celeberrimo: “Senza vergogna, Carrère alterna autobiografia e teologia, cazzeggio e profanazione, blasfemia e devozione”).

Vale poi la pena soffermarsi sul testo a firma Carlo Mazza Galanti pubblicato quasi un anno fa sul Sole24 e poi ripreso a febbraio di quest’anno da Minima&Moralia

Con curiosità mi sono interessata alle opinioni (non troppo allineate l’una con l’altra, anzi!) provenienti dall’ambito cattolico, tra cui ad esempio quella di Enzo Bianchi. Particolarmente fresca e illuminante l’interpretazione di Lucetta Scaraffia dalle pagine dell’Osservatore Romano.

Ho escluso dalla lista chi si è prodigato in elogi evidentemente eccessivi e anche, viceversa, chi ha stroncato senza alcuna possibilità di appello. Unica eccezione l’intervento di Paolo Nori, che è troppo gustoso e sapiente per perdersi nelle nebbie del web. Che ne venga, anche qui, lasciata traccia.

Buona lettura (di Carrère e di chi parla di Carrère) 🙂

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