“Le persone sensibili sanno dire di no”, di Rolf Sellin

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Rimango sempre incredibilmente stupita, dei giri strani che percorrono i libri: ce ne sono alcuni che sembrano non aver voglia di farsi leggere e invece altri restano impressi nella memoria cache di uomini e macchine e se ne escono fuori così, nei momenti in cui meno te lo aspetti. Quando qualche giorno fa Giulio Passerini ha domandato via Twitter un consiglio su un manuale “bello” di selfhelp da portare in vacanza, a me è subito venuto in mente uno dei saggi di Rolf Sellin che ho terminato da poco, e gliel’ho suggerito. Solitamente non scrivo di selfhelp sul blog – sia perché non ne sono particolarmente attratta e di conseguenza non ne ho una vasta conoscenza, sia perché mi pareva che la manualistica in generale non fosse uno dei topic più cliccati su ADC. E invece. (- questa volta mi sono sbagliata – ma vedremo perché).

Rolf Sellin (1948), psicoterapeuta specializzato in coaching sistemico e Programmazione Neuro Linguistica, ha fondato a Stoccarda l’HSP (Highly Sensitive Persons) Institut e somministra da anni seminari e consulenze individuali a coloro che necessitano di un aiuto per gestire al meglio la propria ipersensibilità.

In questo volume, che dovrebbe in linea teorica essere letto successivamente a “Le persone sensibili hanno una marcia in più”, Sellin mette in scena una serie di situazioni pratiche incentrate sulla dimensione sociale e il rapporto con l’altro all’interno delle quali capita che gli individui HSP si trovino a disagio: rifiutare un favore impegnativo, mantenere la propria riservatezza di fronte a un amico invadente, tener testa al capoufficio malmostoso per qualcuno è semplice, per altri un po’ meno. Sono appunto le persone così dette ipersensibili, ossia quelle per le quali far valere se stessi, i propri diritti o le proprie necessità di fronte agli altri è talvolta un problema. Ai casi pratici naturalmente fanno seguito i relativi esercizi di coaching e alcuni testi di auto-valutazione.

Ciò che differenzia la metodologia di Sellin da altri approcci selfhelp è la sostanziale attenzione, presente in Sellin, nei riguardi della costruzione di rapporti interpersonali che siano sempre soddisfacenti per entrambe le parti in gioco. Non è una questione scontata, anzi, e penso sia questo il punto – forse sono riuscita a evidenziarlo anche su Twitter scrivendo ingenuamente di “buona educazione” – che ha tanto interessato chi poi mi ha chiesto informazioni. Quello che mi ha colpita e confortata è proprio la distanza che Sellin sembra mettere tra sé e il sistema alla “yes we can” caratteristico di certo selfhelp made in USA particolarmente aggressivo, che vede come scopo ultimo la realizzazione completa della proprio successo – personale e professionale – lasciando spesso intendere che beh, chissenefrega, se a terra si lascia qualche cadavere.

Non ho mai avuto simpatia per la vision tipicamente americana del “se ti impegni riesci” perché l’ho sempre trovata mancante di un punto: quello dell’introspezione. Focalizzata sull’esterno e sulla modifica delle situazioni contingenti, difetta poiché evita l’analisi del concetto di limite, questione che invece Sellin pone al centro del proprio metodo.

“Quando alcune persone sentono parlare di limiti e confini, pensano immediatamente che equivalga a erigere mura insormontabili, a rifiutare ogni contatto sociale o a rompere i ponti con il prossimo. Sembrano conoscere solo due alternative: o essere totalmente aperti nei confronti altrui, o chiudersi del tutto” (pag10)

“Pensa in grande – è lo slogan diffuso, che spinge a guardare oltre i propri limiti. Fate largo! – è la parola d’ordine – alle conseguenze si penserà dopo! Sono tante le tentazioni di spingersi oltre, di osare di più. (…) La pubblicità e i mezzi di informazione ci invitano continuamente a spingerci oltre i nostri limiti. Illudersi che non esistano ci fa credere che tutto sia raggiungibile sempre e da chiunque. Questo vale anche in altri settori, come dimostrano le aspettative nei confronti del rendimento e dell’efficienza propri e altri. E se ancora non abbiamo raggiunto i nostri obiettivi, l’ideologia del no-limits ha subito una spiegazione pronta: non siamo stati sufficientemente determinati! Questo modo di pensare trova una perfetta formula della canzone You can get it, if you really want. (…)

Questa ideologia parte dal concetto che i risultati raggiunti siano illimitati e che esista un’uguaglianza di fondo, vale a dire punti di partenza identici per tutti: le stesse capacità e doti, le stesse condizioni fisiche, sociali e di salute, le stesse opportunità, gli stessi vantaggi e ostacoli. (…) Questa idea di apparente uguaglianza viene poi scaltramente sfruttata per prendere le distanze dalla reale ingiustizia sociale: – se non ce l’hai fatta è solo perché l’hai voluto tu! (pag16-17)

Il fatto che Sellin ponga a fondamento del proprio coaching questa ricerca ha un effetto collaterale notevole: quello di indurre il soggetto a rispettare sempre chi gli sta di fronte. Perché soltanto chi conosce bene i propri punti di forza e di debolezza e i propri “fino a qui e poi basta” – e dopo aver imparato a comunicarlo con onestà e attraverso parole adeguate e coerenti – avrà la capacità non solo di arrivare dove vuole (ops, pardon: dove PUO’) ma anche di rispettare l’altro – con tutte le sue “capacità e doti”, e i suoi limiti – senza esserne necessariamente schiacciato.