"Gli sdraiati", di Michele Serra

E’ inutile stare qui a raccontarci delle storie. Diventare genitori è come sopravvivere a un maelstrom tropicale, che ci lascia nudi e infreddoliti, tremanti di paura, sulla spiaggia neanche tanto ospitale di un’isola sperduta chissà dove. Probabilità di essere recuperati in tempi brevi da una motovedetta di soccorso: zero.


“Quante volte invece di mandarti a fare in culo avrei dovuto darti una carezza. Quante volte ti ho dato una carezza e invece avrei dovuto mandarti a fare in culo” (p12) sintetizza magistralmente MSerra.

Per non parlare di colui che, avventatamente, anela a un po’ di meritato riposo da godersi, pregustando il momento, una volta che i figli abbiano passato l’età infantile (basta notti insonni, basta malanni dai nomi sconosciuti e dalle eruzioni cutanee ancora più misteriose, basta età dei perché e dei percome): ahinoi, clamoroso errore. Perché allo struggimento del fisico, provato da anni di malattie esantematiche, otiti e streptococchi di qualsiasi calibro e misura che la prole ha avuto il merito di passare, potenziati a mille, al genitore sistematicamente immunodepresso, farà seguito lo struggimento dell’animo. E per quello non c’è antibiotico che tenga.

“Ho la nitida sensazione che questo – esattamente questo – sia l’ultimo istante della tua infanzia. Scomparirà per poi riapparire sempre più raramente, nel corso degli anni, quel bagliore infantile che perfino nei vecchi ogni tanto rivela le tracce dell’inizio. Ma in questo momento il tuo volto addormentato ha una tale purezza di lineamenti da sembrare mai più eguagliabile, e dunque definitiva: contiene il suo addio agli anni (pochi) dell’innocenza” (p20)

“Non so cosa darei per potermi sedere con te, in un momento qualunque della nostra vita, davanti allo stesso paesaggio, e condividerne in silenzio la forma e l’ordine” (p45)

“Ho temuto di avere abdicato, come padre, e di averlo fatto per comodità e pigrizia. Ma al tempo stesso valutavo l’insincerità che mi sarebbe stata necessaria per fingermi depositario di un ordine vero, articolato in regole ferree e punizioni esemplari. Tra simulare un’autorità ben strutturata ma finta, ed esercitarne una gracile e fluttuante, però autentica, che cosa è peggio?” (p88)

Fare il genitore è, in sostanza – e a parte rari momenti di un qualcosa che potrebbe (potrebbe) accompagnarsi a sostantivi tipo: serenità, soddisfazione, gioia, appagamento e finanche felicità (uh) – una questione di coperte troppo corte; quelle che se ti copri la testa poi passano fuori i piedi e che sono pure un po’ mistolana sintetica: non scaldano quando fa veramente freddo ma se ti ci arrotoli troppo dentro fai delle sudate da guinnes.

Nella speranza di arrivare un giorno, guardando i nostri figli, a dire: finalmente posso diventare vecchio.

Buona lettura (e buon anno) 🙂

Post scriptum: questo post è per una cara amica il cui nome inizia per I.
Io sono sempre stata convinta che i libri belli non capitano per caso. Se ne trovi uno sul comodino, e non sai come sia piovuto in casa, allora quello è il Libro Giusto. E’ il Grande Demone Celeste dei libri, a parlarti. Sussurra, bisbiglia, devi stare pronto ad ascoltarlo perché passa solo ogni tanto e nemmeno a cadenza regolare, altro che SantaClaus. Quindi, grazie. E a buon rendere. (Le chiacchierate sull’inadeguatezza ci salveranno).