“Il dolce domani”, di Banana Yoshimoto (trad. Gala Maria Follaco)

“Chi c’era fino a un momento prima d’un tratto non c’è più, le cose che avevamo ci sfuggono dalle mani. La sola certezza che ci rimane è che esistiamo. Vorremmo lamentarci, ma non c’è spazio per i nostri lamenti. Vorremmo perderci nei ricordi, ma siamo cambiati e non riusciamo a voltarci indietro.” (pag93-94)

Comincio agosto aprendo pagine delicatissime. Le ho chieste all’editore perché sapevo che mi avrebbero aiutata a tornare (forse per la prima volta) a questi mesi appena trascorsi, svestendomi di quello sguardo occidentale che mi porto addosso.

Banana Yoshimoto scrive “Sweet Hereafter” subito dopo Fukushima con l’intento di riflettere sulla tragedia nazionale del foglio bianco; lo fa partendo da un fatto individuale, attraverso la storia della giovane Soyo che dopo aver perso una persona cara per un incidente d’auto si trova nella necessità di costruire da capo la propria vita. Non è la prima volta che l’autrice affronta temi collettivi osservandoli all’interno di un quotidiano singolare: l’ha fatto con la malattia fisica, i disturbi psichici, con la tragedia di un lutto familiare, con la questione femminile e perfino con la gravidanza e la maternità. “Mi sono detta che in molti, forse, avrebbero pensato: “Ma chi vuoi prendere in giro? A che serve questo romanzetto ingenuo?” “ scrive l’autrice nella postfazione. Non è che Banana Yoshimoto non sappia affrontare la scrittura di un dolore collettivo – tutt’altro. E’ che sin dai suoi esordi è sempre stata profondamente, intimamente convinta del fatto che ogni angoscia, anche e soprattutto quella collettiva, sia da pensarsi prima di tutto come propria, personale. I modi differenti che ognuno ha di entrare dentro una sofferenza – i punti di vista differenti che Banana Yoshimoto è sempre riuscita a interpretare con grazia, attenzione e rispetto, dall’adolescente inquieta al trentenne gay, dalla madre di famiglia alla coppia di anziani – sono la chiave attraverso cui si sviluppa quella com-passione che è il cardine di un certo modo di guardare al presente.

“Non so come avvenga, ma la bellezza dei nostri paesaggi interiori si trasmette, sotto forma di una grande forza, a chi ci sta intorno.” (pag128)

Banana Yoshimoto a me piace perché nelle sue parole ho sempre trovato l’esortazione a una presa di coscienza personale (che nel suo mondo non occorre perché è già parte intima della vita quotidiana, di ogni tipo di rapporto interpersonale e anche di una certa spiritualità e prossimità con i defunti): lo sforzarmi di non pensare me stessa al centro del processo decisionale – e nemmeno quale unica proprietaria del mio destino o del mio tempo.

Nella sua finitezza delle piccole cose, questa autrice riesce a destabilizzarmi per questo suo modo di rendere visibile la nostra impotenza di fronte agli accadimenti del destino. Il suo sguardo sull’inatteso significa sempre non un senso di sconfitta ma l’idea dell’accettazione e dell’abbracciare – umilmente – un cambiamento inevitabile all’interno del quale l’essere umano non è, di fatto, né fulcro né chiave di lettura.

“Ci vuole tempo per accettare tutto ciò, devo occuparmene senza avere fretta” (pag82)

Ringrazio Feltrinelli per l’invio della copia.