“Loop”, di Simon Stalenhag (trad. Luca Di Maio)

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Prestate attenzione a “Loop” – perché è un condensatore di incubi. Qualcuno può pensarla diversamente e affrontarlo con leggerezza; eppure, “Loop” è anche altro.

Parte del fascino di questa graphic-novel, che in realtà è un ibrido a metà strada tra la fiction distopica, il reportage d’invenzione e un silent-book, passa attraverso il meccanismo di immedesimazione che è per molti, ma non per tutti. I più giovani apprezzeranno la qualità delle tavole, l’abilità dell’autore e la trama di una narrazione avvincente che strizza l’occhio alle mode del momento (Twin Peaks, Stranger Things, The Dark). I meno giovani si troveranno di fronte a un magnifico horror apocalittico che tenterà con tutte le forze di portare in superficie tutti quei ricordi di infanzia che si credevano, o si speravano, ormai sotterrati nell’oblio della dimenticanza.

La realtà distopica dipinta dal visionario Stalenhag è un’architettura complessa di piani temporali in cui il presente – attuale, in background – è un mero strumento di recupero di un passato non privo di attrattive (i primi anni ’80) all’interno del quale un gruppo di bambini vive una realtà quotidiana permeata da elementi ancora più remoti, risalenti agli anni Cinquanta. Le commistioni sono moltissime, stratificate, e il fascino per due periodi storici così complessi se per i più giovani ha il sapore di una ri-contestualizzazione fedele e coinvolgente, per i meno giovani acquista un senso diverso, più incline alla malinconia e al sentimento un poco opprimente delle cose perdute.

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“Loop” per noi meno giovani è tornare all’infanzia, specie se vissuta nei campi, nelle periferie, in un paese piccolo dalle attrattive limitate e dall’economia non particolarmente florida. E’ fare i conti con una realtà modesta, con la scarsezza di mezzi pratici, con famiglie all’interno delle quali le difficoltà quotidiane, legate alla durezza fisica di un mestiere pesante, corrompono i sentimenti. Se da una parte qualcuno apprezzerà i rimandi a Sonic The Hedgehog e a Godzilla, dall’altra qualcun altro non farà altro che notare l’ambientazione wilderness, la quotidianità di bambini avvezzi a stare all’aperto e divertirsi col poco che offre l’ambiente, le difficoltà nel rapporto con le figure istituzionali, specie nella scuola, l’impegno indefesso dei genitori nel tentativo di superare lo scarto generazionale, psicologico, culturale ed economico che divide la realtà del cosiddetto boom economico da quella precedente, figlia del periodo post-bellico e della guerra fredda; e l’ingenuità con cui gli adulti, in nome di un progresso che pareva del tutto positivo e inarrestabile, abbracciava acriticamente qualsiasi novità tecnologica e industriale venisse suggerita e proposta, dall’eternit all’atomo.

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Naturalmente a ciò si deve aggiungere il tema distopico che non manca di spunti interessanti: l’utilizzo mal governato di tecniche di fatto sconosciute, l’inquinamento ambientale, la critica sociale e il romanzo di formazione.

Leggendo “Loop” insomma noi adulti di una certa età anagrafica ci ritroviamo ancora lì, col sedere poggiato sulla polveriera del nostro passato: ancora una volta bambini insicuri, incastrati dentro un mondo nuovo ed estraneo che nemmeno i nostri genitori erano in grado di comprendere ma a cui, in nome di schemi precostituiti che pareva irriverente non rispettare, era necessario affidarsi. Un’ingenuità appena venata di dubbio che ci riporta con inquietudine, amarezza e un pizzico di nostalgia a un’età, e una realtà, molto diversa da quella attuale.

Buona lettura 🙂

Note:

  1. La curiosa storia di come ho scoperto Simon Stalenhag l’ho raccontata qui sul blog (il mistero dei libri che chiamano altri libri: in questo caso si tratta di una… partita di poker on line) e anche su IG, negli highlight con tag #percorsi
  2. Restiamo in attesa di “Things from the Flood” (il seguito di “Loop”), uscito a gennaio 2017 e ancora inedito in Italia.