"Tokyo Orizzontale", di Laura Imai Messina, e "Corpi di Gloria", di Giuliana Altamura

(Sembrano così gracili, questi giovani moderni. Forse lo eravamo anche noi, ma nessuno se ne accorgeva). 

“Ovunque cumuli di vita fragili e dispersi, ammassati in luoghi così distanti da non incontrarsi mai” (GAltamura, #CorpidiGloria, p172)

“Tokyo Orizzontale” e “Corpi di Gloria” sono due romanzi esemplari nel genere che rappresentano e non mancano di rivelare come il giudizio non smetta mai di dipendere oltre che da considerazioni oggettive e imprescindibili su forma e contenuto anche dall’approccio soggettivo e personale all’argomento proposto. In questo caso, verrebbe quasi da scomodare l’obsoleto e polveroso tema dello “scarto generazionale”. Ma tant’è.

Laura Imai Messina (Roma, 1981) e Giuliana Altamura (Bari, 1984) nelle loro opere prime sembrano confrontarsi – vien da dire rifacendosi al giornalismo sensazionalistico più tradizionale e scontato – con il tanto citato “disagio giovanile”.

LIMessina racconta l’esperienza alienante della mutazione tardo-adolescenziale del corpo e dell’anima, del sovraffollamento antropico e dell’iperstimolazione sensoriale. E lo fa prendendone a paradigma Shibuya, uno dei 23 quartieri di Tokyo, con una densità pari a 13mila abitanti/Km per un totale, in estensione, di 15Km circa, attorno al quale in un crescendo di casualità concatenate si snoda il fine settimana di quattro giovani di età appena post-universitaria: Sara e Carmelita, che si sono ritrovate a condividere l’esperienza di expatried, e poi Hiroshi e Jun, due Tokyoti dai caratteri e dalle esperienze familiari completamente differenti; il fato farà interagire tra loro queste quattro persone segnandone per sempre il destino.

GAltamura invece, anziché far esplodere la narrazione attraverso un susseguirsi di esperienze diversificate e altre, la fa implodere dall’interno – con le stesse, devastanti, conseguenze – attraverso l’antonomasia di Riva Marina, esclusivo resort pugliese, immutato e immutabile centro turistico villette-a-mare-con-piscina (di eccezionale e immediata Ballardiana memoria, per altro) all’interno del quale i ventenniGloria, Cristina, Nic, Dave, Andrea e Michael si ritrovano con le rispettive famiglie a trascorrere la consueta, rovente estate mediterranea, confrontandosi con l'(apparente) immobilità del reale e con l’horror vacui che da questa inerzia scaturisce.

Entrambe le scrittrici, attingendo a piene mani dal proprio vissuto, si misurano con quello che forse impropriamente si era definito “disagio giovanile”: patimento che a quanto pare (ad occhio adulto, almeno) non è ormai più prerogativa di una piccola minoranza di adolescenti e young adults ma di tutta un’intera generazione, senza limiti né di geografia né di estrazione sociale.

A far da padrona, declinata in modi e ambiti differenti, è l’angoscia per l’ignoto del futuro e per l’inconsistenza anaffettiva del presente, esorcizzata attraverso l’abitudine a comportamenti estremi capaci di offrire una sempre maggiore assuefazione adrenalinica o l‘illusione di un sentimentofinalmente condiviso e ricambiato: si va dall’abuso di alcool e di sostanze psicotrope al sesso promiscuo, occasionale e non protetto, all’inclinazione al bullismo e agli atti vandalici o di cyber-pirateria. Tormenti di medesima entità, espressi o nelle forme di un elegante e prestigioso zoo-resort in cui, tra piscine dall’acqua immobile e cristallina e spiagge bruciate dal sole si consumano esistenze “tirate a campare”, o nel chiasso e nella densità corporea della più estrema metropoli asiatica, tra atti erotici consumati a distanza di poche ore dal primo incontro e sbrigati in fretta in un love-hotel o nella toilette di un bar – in una dimensione atemporale in cui giorno e notte non hanno più alcun significato – drink ultra-alcolici tracannati d’un fiato, travestimenti sgargianti di paillettes, parrucche fluorescenti e violenze da bullismo di gruppo.

Elemento comune, l’entusiasmo per le infinite possibilità di realizzazione personale, professionale e affettiva che il mondo offre, o potrebbe offrire, irrimediabilmente inficiato dall’ossessione per il molteplice e per la naturale eterogeneità delle esperienze: diversificazione che dovrebbe condurre per natura ad un principio necessario di scelta consapevoleed altrettanto cosciente criterio di rinuncia ma che al contrario viene sostituita dall’inedia senza fine di giornate identiche l’una all’altra, sulle quali si innesta facilmente il germoglio del godimento adrenalinico. Da una parte, gli atti vandalici nelle ville dei vip condotti dalla banda di Riva Marina capitanata dal teppista Nic, che pochi sopportano ma che nessuno ha il coraggio di evitare. Dall’altra, la creazione del cliccatissimo website #TokyoOrizzontale ad opera di Jun, figlio viziato di un ricco imprenditore locale; una collezione di scatti notturni che impietosi (e in barba a qualsiasi regola sociale o norma etica) ritraggono decine di businessmen giapponesi sfatti dall’alcool: chi crollato a terra sulla banchina del metro, chi accasciato su una panchina di un parco, chi riverso in una pozza di vomito sul marciapiede di fronte ad un pub.

Ciò che spicca – sempre ad occhio adulto (ritorniamo all’incipit della nostra osservazione) – è la relazione problematica con il nucleo familiare di origine, sia nella presenza sia nell’assenza. I legami con i genitori e/o con i fratelli si rivelano in entrambe le opere intricati e di difficile gestione e non esiste alcun momento di difficoltà in cui il genitore venga eletto a figura di riferimentoné per un aiuto eventualmente pratico né per un conforto emotivo.
Parimenti, sembra totalmente assente anche il concetto della consequenzialità degli eventi e delle azioni: il nesso causa-effetto è sradicato dal suo originale contesto perché le azioni compiute valgono per il “qui e ora” e qualsiasi conseguenza è consegnata ad una riflessione da farsi in un “domani” che non si vorrebbe vedere mai trasformato in “oggi”, salvo poi ritrovarsi impreparati e smarriti di fronte allo svolgersi di un destino che viene subìto come inatteso – e talvolta immeritato – ma che invero porta le tracce di una facile prevedibilità, stanti le premesse che lo hanno generato.

Insomma, una formula per il buon esito dell’impresa pare non esistere affatto.
Semplicemente, c’è chi si salva e chi invece soccombe ad una giovinezza che – sembra – di bellezza e poesia ne ha ben poche e che assomiglia più ad una lottaper la sopravvivenza combattuta con violenza estrema e senza esclusione di colpi.

Se nell’opera di LIMessina si apprezza lo stile asciutto e cesellato, l’ampiezza raffinata del punto di vista e la coralità poetica dell’immagine, da cui traspare una profonda e sostanziale fiducia nell’Uomo e nelle sue creazioni, nel romanzo di GAltamura prevalgono i toni cupi, sia di forma, attraverso le descrizioni dell’estate mediterranea, brucianti, dense ed evocative, non prive di echi letterari, sia di contenuto, in uno scritto che non è soltanto romanzo di formazione ma anche thriller psicologico il cui finale aperto lascia spazio a riflessioni mai banali né scontate.

Buona lettura 🙂