"Come finisce il libro", di Alessandro Gazoia

“Come finisce il libro” ha un merito: una fruibilità che rimane comunque a largo spettro nonostante il target a cui si riferisce sia di necessità circostanziato.
L’approccio tuttavia non indugia mai nel generalista: ciascun lettore può, a seconda dell’interesse, approfondire le proprie conoscenze senza il timore di affrontare il “già detto” ma anche avere l’opportunità di confrontarsi con temi magari non di propria competenza certo di accedere a informazioni chiare, complete e mai scontate (anche grazie al ricchissimo apparato in nota).

Nell’introduzione, seguendo l’iter di un immaginario lettore medio/forte alle prese con la scelta e l’utilizzo un testo, l’autore illustra brevemente la filiera completa del processo editoriale alla luce dei profondi cambiamenti introdotti dalla rivoluzione digitale, soffermandosi in particolare sull’analisi delle necessità del lettore (scelta del supporto, facile reperibilità del testo, necessità o meno della relazione “social” con altri lettori etc) in rapporto all’offerta proposta dalle case editrici – e/o dai colossi dello shopping on line / della pubblicazione a pagamento / del selfpublishing.

Seguono poi tre parti di approfondimento dei temi trattati nell’introduzione. 
– Il capitolo “Pubblicazione” si propone di affrontare temi quali l’editoria a pagamento sia nella “tradizionale” versione cartacea sia in quella di “ecosistema” – cartacea o unicamente digitale – offerta dal web (Kindle Direct Program, Amazon CreateSpace, IlmioLibro etc – numeri alla mano sempre citati sia nel testo sia in nota). Prospettiva che viene a stravolgere l’idea stessa di “pubblicazione” da sempre conservata nella mente del lettore quale imprescindibile punto di riferimento:

“La pubblicazione non è insomma un interruttore della luce che prevede solo lo stato di acceso e spento: quando diciamo che un autore “debutta con Mondadori” intendiamo che ha meritato di pubblicare il suo primo romanzo presso quella grande casa, e diamo per scontato che si sia fatto conoscere con altre prove più brevi: in questi anni avrà pubblicato sul suo blog personale, su un sito culturale collettivo, su un giornale locale e poi nazionale, in una racconta di racconti di giovani talenti presso una piccola casa editrice, ecc” (kindle, pos. 723)


(Digressione interessante è quella, stimolata dall’analisi di un brano da “Il pendolo di Focault”, sul sistema adottato da sempre più CE che si vedono “costrette” a pubblicare testi di qualità letteraria perlomeno dubbia ma di risultato soddisfacente al botteghino per poter poi permettersi l’eventuale flop di vendite dell’autore colto).

Al pari dell’autore autoautorizzato, viene a crearsi quindi tutta una serie di lettori digitali “autoautorizzati” che:

“commentando direttamente e in prima persona il testo pubblicato, elimina il ruolo di mediazione del critico” (829)

siamo qui all’analisi del fenomeno del social reading tra blogs, piattaforme di lettura condivisa, newsgroup “letterari”. Interessantissima tutta la bibliografia in proposito, citata sia nel testo sia in nota. Discorso a parte – e infatti anche questo intrapreso – merita il concetto di “discoverability”, ossia la capacità dell’autoatore di auto-promuoversi utilizzando tutti i canali di cui si possa disporre, dal filtraggio algoritmico operato da Amazon, ai blog, alle CE tradizionali che sempre più spesso vanno a caccia di nuovi talenti surfando sui siti di selfpublishing (con tutte le questioni che ne derivano, culturali, etiche ed economiche).

Nella seconda parte (“Digitale”), l’autore concentra l’analisi sull’aspetto che contraddistingue e differenzia profondamente l’editoria passata da quella presente, ossia la fruizione del testo in maniera digitale: ereader, ebook, formati open e protetti, Amazon e il meccanismo tutto Kindle del “being locked-in” e non si dimentichi la questione economica del costo marginale zero e il problema delle biblioteche digitalizzate e digitalizzabili). L’acquisizione di una conoscenza un po’ più profonda dell’argomento val bene la fatica di star dietro a qualche tecnicismo.

La terza parte “Miti/Social” è dedicata alla socialità del libro, ossia a tutti quei fenomeni di studio, analisi e rielaborazione comunitaria del testo esplosi con l’avvento delle nuove tecnologie. Piattaforme come fanfiction.net assecondano il desiderio del lettore (sempre esistito per la verità) di approfondire, ricreare e riscrivere, quindi senza mai abbandonarle, le storie degli eroi preferiti, siano essi i mitici Sherlock Holmes e Watson, o i personaggi di Harry Potter – senza dimenticare che uno dei più impressionanti “casi editoriali” del 2013 è rappresentato dalle famose cinquanta sfumature, niente più che, alle origini, una fanfiction basata su alcuni personaggi della Twilight trilogy.

“Come finisce il libro” non offre soluzioni, al contrario concede al lettore una pausa di riflessione per far sì che si concentri sulla materia e sulla forma del testo che tiene tra le mani. 

Ed ecco qui le misere note a margine di ADC – condivise anche su Twitter.
  • Che cos’è un lit-blog? In che modo, attraverso quali mezzi, e soprattutto da chi viene definito tale?
    Si scherzava, ma non troppo, relativamente alla questione.
    E’ spesso abbastanza sottile il confine che separa il “lit-blog” specie monoautore e il sito web di “uno che legge e che si trova, così tanto per, a scrivere di quel che legge”. Anche perché se tutti i website che parlassero di lett(erat)ura venissero così  d’emblée (auto)definiti “lit-blog”, a qualcuno non verrebbe la necessità di dover trovare un altro, più efficace modo, di fornire attributi di genere a un “mostro sacro” come, per esempio, Nazione Indiana (forse… Senior lit-blog?)? Sicché: cos’è, un lit-blog? Questione complessa e probabilmente al momento irrisolvibile, ma tant’è, qualche domanda occorre sempre porsela.
  • Posto che il lit-blog sia stato creato quale terreno fertile di confronto, scambio e condivisione di cultura fra i curatori e gli utenti, in che modo esso si pone nei confronti del materiale preso in esame?
    Per il (lit)blogger si apre un ventaglio di opzioni difficilmente quantificabile a causa dell’estrema vastità e variabilità dell’offerta: si va dalla posizione ferma, dura e pura di che non accetta alcun testo in copia promozione stampa e parimenti non fa certo del rapporto diretto con lo scrittore o con le CE uno dei temi core del proprio sito web, a “redazioni” all’opposto aperte a variegati esempi di collaborazione con CE ed autori, dall’ “anteprima”, alle “impressioni”, alle interviste con lo scrittore fino all’ospitata di autori e referenti delle CE in incontri on line appositamente creati. Due paradigmi completamente opposti che forse vale la pena di considerare attentamente, con tutto quel che sta loro nel mezzo, perché non si tratta di una situazione esclusivamente autoreferenziale ma coinvolge un soggetto imprescindibile quando si parla, appunto, di terreno fertile di confronto, scambio e condivisione di cultura: il pubblico, fruitore del blog.
  • “Come l’autore autoautorizzato insidia la figura dello scrittore ed elimina il ruolo di mediazione dell’editore, così il lettore digitale, commentando direttamente e in prima persona il testo pubblicato, elimina il ruolo di mediazione del critico. (il blog) si propone come una forma di superamento della mediazione critica, o meglio di opposizione alla mediazione tradizionale” (829)
    E quindi? Probabilmente a tutt’oggi “noi bloggers” (ehm) non possiamo fare altro che tenere sempre bene a mente il concetto di responsabilità individuale nei confronti di terzi (ossia “quelli che ci leggono”) e agire un po’ di conseguenza ognuno secondo le proprie sensibilità, per altro senza cadere mai nell’equivoco, foriero di fraintendimenti, del: il lit-blogger “lavora nell’editoria”.

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E infine, che dire? Anche sui prodotti editoriali sarà utile e necessario, per salvaguardare il criterio di libera scelta del lettore, inserire la lista dettagliata degli ingredienti? Chi mi ha risposto su Twitter, anche in DM, ha detto di sì.

Buona lettura 🙂

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