"Lasciami entrare", di John Ajvide Lindqvist

La questione non era tanto leggere qualcosa di inatteso. Era verificare le potenzialità di un anti – Twilight interessante ed emotivamente coinvolgente, delirio erotico a parte.

Se di Twilight, più che la trama in se’ e lo sviluppo dei personaggi, interessava la love story e la presenza scenica del bel vampiro Edward, qui siamo al lato opposto della questione. 

Andiamo per appunti sparsi, segnati a margine, a matita.

Thriller di atmosfera e sensazione, dalla contestualizzazione forte e priva di qualsiasi, ipotetico, fraintendimento. Avevamo già parlato in più di un’occasione della problematica “contestualizzazione” (vi rimandiamo, una per tutte, all’Irene di “Due”). Qui, inutile pensare a una Forks che potrebbe essere benissimo Forks ma anche altro da sè – perché tanto la storia, in piedi, ci starebbe lo stesso. Qui se non pensi al freddo, alla neve, all’autunno che cede il passo all’inverno del nord, al ghiaccio e alla neve, troppo avanti non vai.

E troppo avanti non ci vai neppure se non pensi alla gente del nord, al modo di concepirne l’esistenza, tra una natura selvatica con cui dover, di necessità, fare i conti, che rende selvatici e istintivi anche nell’animo e nell’azione. E ne avevamo parlato, anche di questo, qui (Jostein Gardeer), proprio a definire la questione del romanzo di “nicchia” (doverose le virgolette visto il successo di pubblico).

Personaggi. L’arte del comprimario va studiata a tavolino. Non si lavora su una troppo semplice dicotomia Edward-Bella / Oskar-Eli, ma su una struttura corale che passa fluida tra situazioni e personaggi, a dipingere così un quadro minuzioso e specifico di una realtà che, ancora una volta, non può essere sostituita da altro. Pensiamo alle “amiche” di Bella, che a mano a mano spariscono nel filone del “non convincente”. Pensiamo alla famiglia Cullen, rispolverata solo e soltanto al bisogno. L’Irene, nella sua biografia, ci parla dell’importanza del (twitterando), background; ovverosia, trattare il personaggio secondo una sua propria autonomia individuale ed inserirlo all’interno del romanzo soltanto in seguito: solo creandone PRIMA la storia e la biografia, e utilizzandone, DOPO, gli stralci necessari. La tecnica rende il personaggio consistente e sfaccettato, e permette di lasciare in ombra – o di rivelare alla luce del sole- quegli aspetti utili allo svolgimento della trama evitando che la figura risulti creata secondo artificio. La madre di Oskar, il padre, Tommy, il gruppo dei bulletti del quartiere; gli amici del ristorante cinese del venerdì sera. Virginia. Il maestro di ginnastica, il poliziotto “buono” (che apre e chiude la narrazione).

E’ un po’ una questione di prospettive, un rimettere a fuoco la situazione: fare il vampiro non è glamour. Non indossi vestiti firmati, non guidi macchine sportive, se ti mostri alla luce del giorno vai arrosto, al sangue umano non c’è alternativa (altro che cacciagione e vegDiet). Hai artigli e ali e denti aguzzi che ti spuntano dappertutto, dolorosamente, anche quando meno te lo aspetti. Puoi anche possedere denaro e beni voluttuari, ma non sai che fartene. Oggetti misteriosi dal sapore antico persi in scatoloni di cartone ammuffito. Banconote arrotolate alla bell’e meglio, nascoste sotto materassi sdruciti e giacigli di fortuna in appartamenti sporchi e deserti che mai ti apparterranno davvero. E’ la solitudine straniante dell’essere umano che non è più tale, perché sradicato dalla comunità, dagli affetti e dal PROPRIO tempo all’interno del mondo. E’ l’idea dell’assassinio e della violenza insita nella creatura mostruosa, un che di terrifico e bestiale che non può essere né mitigato, né taciuto, né controllato con la sola forza del raziocinio. Nessuno è fatto per essere vampiro (a differenza di quanto pensa Bella, secondo cui la vita vampiresca potrebbe essere molto meglio della sua, sfigatissima, vicenda umana), perché il vampiro è un abominio del pensiero, del corpo e dell’azione (si vedano le pagine relative all’ “iniziazione” di Eli): è un bambino castrato nel corpo e nell’animo, violentato e seviziato.
Il messaggio che Eli e Bella ci offrono, diametralmente opposto, vale una riflessione. Quella sulla condizione umana, che per quanto misera possa sembrare – o essere – val sempre la pena di vivere in tutta la sua essenza.

Buona lettura 🙂