“Il futuro di un altro tempo”, di Annalee Newitz (trad. Annarita Guarnieri)

“I miei sforzi per modificare la linea temporale non erano niente a confronto di quello che facevano le persone per cambiare il proprio tempo con qualcosa di così semplice come le elezioni”.

Per raccontare chi sia Annalee Newitz non sarebbe sufficiente nemmeno un post dedicato. “I write about science, culture, and the future” scrive nella sua biografia on line e già il fatto che riesca a condensare in tre parole la sua vita da giornalista esperta di scienza e tecnologia, scrittrice, attivista lgbt+ può dare l’idea della complessità e della versatilità di questa autrice. Opinionista sul New York Times, fondatrice di io9 (uno dei più quotati blog di scienza/fantascienza), autrice di saggi e racconti pubblicati su Wired, Popular Science e diversi quotidiani, è finalista al Premio Hugo 2018 con il suo primo romanzo “Autonomous”, che racconta un futuro terrestre a noi sorprendentemente vicino nel quale si combatte per la legalizzazione di alternative economiche che possano rendere pubblica l’accessibilità a farmaci costosissimi. In “The Future of Another Timeline“, uscito nel 2019, Newitz si dedica alla teoria dei viaggi nel tempo e, sempre nel solco della speculative fiction, alla rappresentazione di realtà ucroniche.

“Il futuro di un altro tempo” è un racconto complesso di piani temporali sfalsati, all’interno dei quali ognuno fa del suo meglio (o del suo peggio) per modificare a proprio favore la linea temporale. Questo è possibile grazie all’esistenza di cinque misteriose “Macchine” presenti sulla Terra sin dalla preistoria, che permettono il ritorno nel passato e di conseguenza la correzione o addirittura la cancellazione di micro e soprattutto macro-eventi. “Il futuro di un altro tempo” però non si concentra tanto su episodi di vita personale (ai quali però torneremo*) quanto su momenti chiave legati a sociopolitica e questioni di genere.

La vicenda di questo gruppo di viaggiatrici del tempo, impegnate a reintegrare memorie perdute o cancellare ingiustizie compiute nel nome dell’omofobia, del patriarcato e del maschilismo – il suffragio universale, il diritto all’aborto, il divieto di istruzione universitaria per le donne, per esempio – mostra due questioni ben espresse quasi a formare un manifesto. Da una parte c’è l’impossibilità di modificare grandi eventi del passato agendo unicamente sull’essere umano che li ha prodotti (per esempio: assassinare Hitler per evitare lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale – nb. di questo sistema del “Grande Uomo” si era occupato, tra gli altri, anche Stephen King con 22/11/63, speculative fiction sulle “stringhe temporali” in cui il protagonista, viaggiatore nel tempo, si impegnava a evitare la morte di Kennedy). Questa incapacità di modificare il passato (che, scriveva King, rifiuta il cambiamento – quasi sia organismo vivo e senziente che con tutte le forze si oppone alla modifica del sé) rivela la necessità di lavorare, piuttosto, su tutti i piccoli accadimenti quotidiani. Indicazione forte e programmatica di quel che dovrebbe verificarsi nel nostro presente, come a dire che il cambiamento si costruisce ogni giorno, specie tra i giovani, nell’aula di scuola come nei rave-party in giardino. Il secondo punto è in parte conseguenza del primo e sua emanazione: se poniamo a cardine il cosiddetto rifiuto della “teoria del Grande Uomo” viene da sé la profonda condanna di ogni tentativo di rivolta violenta. Ciò porta a due corollari: in primo luogo la definizione dell’attivismo per le questioni di genere, all’interno delle quali la lotta armata non è mai opzione perché di fatto apre a ulteriori violenze, e la questione del ricordo e della cancel culture. Non a caso una parte fondamentale del libro è dedicata al racconto della memoria (i “manoscritti della caverna”) e queste parole – in tradizione orale e scritta – segnano una verità universale: senza ricordo non c’è memoria, né riflessione, né consapevolezza.

“Era così che funzionava la revisione storica. Solo i viaggiatori presenti al momento della modifica avrebbero ricordato la versione precedente della storia”

“Il futuro di un altro tempo” è una lettura adatta a qualunque età. Costruito come un Young Adult incontra non solo quel pubblico giovane che vi trova spiegata bene, finalmente, la questione della sorellanza ma anche quel target costituito da chi, in età più matura, a quel mondo desidera avvicinarsi. Il lettore più smaliziato potrebbe rinvenire alcune semplificazioni, o quel modo di scrivere che talvolta predilige l’azione allo spazio descrittivo ma è proprio lì, nello sforzo che occorre produrre nell’avvicinarsi, che si rivela il modo in cui occorre procedere.

(*) > sottomette la famiglia utilizzando metodi coercitivi di violenza fisica e psicologica. Non c’è nell’autrice né il desiderio né il bisogno di enfatizzare gli accadimenti attraverso il meccanismo della pornografia del dolore – perché lo scopo è (finalmente) diverso: aiutare chi legge – specie adolescente – a riconoscere determinati atteggiamenti. Attraverso la presa di coscienza della protagonista, l’autrice mostra bene il modo in cui nelle famiglie dove si verificano abusi la situazione venga costantemente “normalizzata” e ridimensionata, in specie attraverso il metodo del victim blaming Altro punto sollevato dall’autrice è il meccanismo di negazione messo in atto dalla madre.

Spiace che Fanucci sia poco attiva sui social: sarebbe stato interessante approfondire questi punti – magari attraverso un incontro on line con l’autrice – perché “Il futuro di un altro tempo”, nonostante qualche refuso di troppo e una traduzione in certi punti un po’ traballante, è un bel libro che racconta il rischio della radicalizzazione. In ogni movimento, dentro ogni scelta, c’è quel limite, a dividere l’idea dall’ossessione e le pagine di Annalee Newitz sono per questo da rispettare, profondamente. E’ un peccato che questi testi vengano considerati alla stregua di opere di nicchia e non vi sia dedicato quel tempo di analisi e quella copertura media che invece meriterebbero. [Da sottolineare anche l’uso dello /ə/ (scevà) per la traduzione di pronomi, articoli e suffissi di genere non binario].