“La sola autonomia è l’incidente”

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“Il virus trasportato dalla foresta di cristallo avanza di quattrocento metri al secondo, quando dall’oscurità Sanders vede emergere una chimera abbacinante: l’uomo illuminato: con braccia e petto incandescenti passava correndo tra gli alberi, seguito da una cascata di particelle che si diffondevano nell’aria dietro di lui.”

Durante il periodo dell’internamento a Lunghua (1943-1945) JG, ragazzino, con gran frequenza si adopera per sfuggire ai controlli: esce dal campo e si perde nelle risaie, fra le carcasse dei Ki-43 mentre all’interno del centro di detenzione gli adulti, nel frattempo, “si erano prodigati per conservare consuetudini british” e “si preoccupavano del decoro, dell’ora di latino”. Shangai Jim, nello sguardo di Christian Bale, ci parla di cosa significa per JG Ballard l’essere adulti. Per tutta la vita Ballard porterà con sé il ricordo di quelle giornate e lo utilizzerà quale metodo di narrazione nel tentativo – pervicace, tormentoso, ossessivo – di raccontarci questo sistema di sguardo: dell’essere umano che decide, con pensiero autonomo e consapevole, di smettere di “piegare il mondo alla verità che non conosce”*. Non la banalità del return to innocence quanto una chiamata alla “contraddizione” e all'”ambivalenza di pensiero”, al sottrarsi dal pensare la realtà del mondo come qualcosa di definibile in base a certe categorie fisse, conosciute – sino al punto da starci così bene, lì dentro, da averne anche un po’ orrore del fuori o di dimenticarsene completamente e chi lo sa, quale di due finali sia peggio. JG Ballard chiama a una nuova forma di maturità: terrorizzato dal ricordo dei suoi connazionali che, alla notizia della liberazione, preferirono restare all’interno del campo di prigionia anziché affrontare l’ignoto del postbellico (e postcoloniale), e parimenti sconvolto dalla finzione (intendiamola proprio come fiction, la messa in scena) a cui l’adulto dell’epoca, egli stesso incluso, decideva di sottoporsi, dichiara – programmaticamente – la necessità di un uomo nuovo, illuminato. Come Edwards Sanders, il protagonista scienziato di The Crystal World che risalendo il fiume Matarre in Camerun alla ricerca di un antico amore è vittima di una misteriosa mutazione, un essere – fenomeno alieno, forse, chi lo può sapere (l’indederminatezza del distopico è d’obbligo, in Ballard) che attacca fauna e flora ricoprendola di cristalli. Jeff VanderMeer non è poi così lontano (dico con Hummingbird Salamander non con la trilogia, che è qualche passo più indietro), e nemmeno è così lontana Christiane Vadnais.

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“La vita familiare, immagina Ballard, una volta liberata dalla presenza fisica, priva dell’impegnativo, deludente scambio di emozioni, si ridurrà alla sua proiezione e condivisione video. La parentela sullo schermo mette al sicuro dall’ostilità. E la casa non è più il luogo dove torniamo perché siamo certi di essere riconosciuti: è un contenitore individuale da cui protenderci soltanto attraverso uno schermo.”

Nel 1977 JG pubblica The Intensive Care Unit, un breve racconto distopico all’interno del quale lo scrittore mette in scena la realtà di una famiglia costretta, verosimilmente per motivi sanitari legati a un qualche agente infettivo, a interagire unicamente tramite schermi e telecamere (non sfugga la consueta provocazione dell’autore, laddove identifica come “scelta patologica” la condizione descritta e come pazienti ospedalieri i protagonisti del racconto). Millenovecentosettantasette.

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“Nella nostra storia, c’è mai stato qualcosa di simile al feed?” chiede M. Neri a Kyle Chayka, giornalista del New Yorker esperto di cultura digitale, ora in libreria con Filterworld – How Algorithms Flattened Culture. “«No [risponde Chayka]. Finché ci limitiamo ai contenuti che scorrono davanti a noi su siti come Facebook o Instagram, abbiamo un’idea di cosa succeda: pensiamo a un flusso. Ma appena proviamo a intuirne identità e portata, percepiamo solo una cosa più grande, soprannaturale perché intangibile; né possiamo interloquire con le raccomandazioni scelte dagli algoritmi: questi non sono trasparenti, non possiamo metterli in discussione. Ne deriva una forma d’angoscia, quella che nasce quando dobbiamo affrontare processi tecnologici non controllabili». Da ciò, da questo rischio, JG Ballard ci aveva messo in guardia almeno sessant’anni fa, quando la televisione trasmetteva senza interruzione, scardinate da qualsiasi principio gerarchico, le immagini della guerra in Vietnam, della conquista allo spazio, del suicidio di Marylin Monroe e happy birthday mister president.

Perché Chayka si è occupato di consumi culturali? chiede Neri. «(…) è in questo settore che la nostra esperienza è più diretta e l’impatto è maggiore [risponde l’autore]. Per strani motivi non ce ne siamo accorti per troppo tempo, intanto gli algoritmi sono diventati dominanti, difficili da aggirare, troppo influenti per liberarcene (…)». Il punto è quindi comprendere perché questo rischio sia stato sottovalutato o francamente ignorato, nonostante i numerosi avvertimenti. Il problema non è tanto la «singola espressione artistica» (dice Chayka) quanto la promozione della stessa – che nel prima era frutto, evidentemente, di una serie di processi decisionali derivati da opera umana ma che ora, invece, è frutto di modelli AI rispetto ai quali l’essere umano di cui sopra ha scarso controllo e cognizione.

“Il rombo non è l’annuncio di un’apocalisse naturale o di un disastroso errore umano, ma la richiesta di non restare indifferenti al richiamo di un imprevisto che, proprio perché inclassificabile, potrebbe rivelare uno scopo, quando questo è nascosto da un contesto che disorienta attraverso ripetute imposizioni di certezza.”

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(Note. Il virgolettato del titolo e le citazioni in grassetto sono tratte da Ballardland – M. Neri, Italo Svevo ed. 2024 / Il virgolettato con * è di chi sta leggendo Ballardland con me [sempre grata]. / I virgolettati su Chayka sono estratti dal dialogo di Chayka con M. Neri [d La Repubblica]. Su La Lettura in edicola questa settimana [31/03/2024] trovate l’articolo “Sì, la Terra è davvero piatta”, intervento inedito di Chayka a proposito di alcuni temi trattati in “Filterworld”, ROI ed. 2024. / A margine: la “sorta di immane materia oscura con i prodotti culturali esclusi dagli algoritmi” di cui parla Chayka nell’intervista a M. Neri esiste già; è già fuori dai radar, continuerà a restarci – occorre saltare sulla canoa e andare a cercarla: è lì, che sta l’anomalia. Kurtz non smetterà mai di indicare la strada. / In aggiunta: non sfugge qui la questione tecnica relativa al modello AI e alla sua finalità, che deve essere identificata anteriormente al training. L’autonomia del modello esiste, il tema della potenza della AI è ben presente ma non si può trattare qui; come non si può trattare qui il tema della fidelizzazione alle piattaforme, finalità parallela e potenzialmente concorrente al consumo culturale.)

“There’s no past, no future”

Stanisław Lem in Ritorno dall’universo (1960) fa dire a uno dei personaggi qualcosa di curioso, sulle tragedie che non esistono più: “Abbiamo eliminato l’inferno delle passioni”, dice, “ora tutto è tiepido”. Ritorno dall’universo non è un’epopea fantascientifica, nemmeno distopica, ma il mezzo attraverso cui Lem vuole raccontare sia il tema del rientro del reduce sia la disillusione nei confronti della conquista spaziale – e in generale il rapporto con la tecnologia. Lo sfondo fantascientifico, di fatto, serve a Lem per raccontare il presente.

“Con La mostra delle atrocità, [JG] aveva insistito sugli effetti nevrotizzanti di un incombente paesaggio mediatico: uno scenario concepito come un territorio dominato da progetti immaginari, che impregnano, schiacciano lo spazio nevrotico, alterandone l’evoluzione. In quegli anni televisione, radio, giornali popolari, una pubblicità che è propaganda politica e dello star system valorizzano la spettacolarizzazione, la resa tecnica, così da provocare, come aveva sostenuto, la morte dell’interesse. Questa, con il tempo, si tradurrà nella sfiducia di poter esercitare una volontà sul futuro.”

JG non ha mai nascosto il fascino che i media generavano in lui e, di conseguenza, era molto ben consapevole dei rischi insiti nella fruizione. Non se ne è mai sottratto, però, preferendo la necessità/urgenza di osservare gli effetti dell’esposizione (mai intesa come sovra-esposizione, che non esiste, anzi il punto è proprio quello di andare a toccarne il fondo) rispetto all’escapismo. L’autoesclusione dai fenomeni di massa non porta, secondo JG, a una maggior coscienza – che fastidio, vero?

“«C’è un minimo di ore di tv che dovresti vedere ogni giorno», disse nel 1978 a Jon Savage di  «Search and Destroy».  «E a meno che tu non ne veda almeno tre o quattro ore al giorno, significa che stai chiudendo gli occhi davanti a uno dei principali flussi di coscienza in circolazione!».”

Il sistema-Ballard proprio per questo motivo irrita: perché non offre strumento di conforto. Nemmeno la fantascienza lo è – spiace, dice JG: lungi dal garantire un guilty pleasure da gita apocalisse zombi, biglietto di ritorno incluso, il sistema-Ballard scardina sé stesso dall’aesthetic: one-way ticket. Personaggio-simbolo è Kerans, lo scienziato di The Drowned World (1962) che contro ogni senso di raziocinio abbandona la spedizione organizzata su quella laguna radioattiva che un tempo era Londra per procedere a sud, verso il clima tropicale, primordio di un mondo nuovo, chi può sapere se davvero invivibile o meno, nell'”impossibilità di accontentarsi di una finzione inefficace” creata da chi tenta di “avocare a sé ogni cambiamento” e così facendo depriva l’essere umano del principio di scelta.

“Parlando con Lukas Barr nel 1994, puntualizzerà:  «Quando i numeri di pixel sottoposti all’occhio umano supereranno la nostra capacità di processarli, la realtà ordinaria sembrerà piuttosto squallida.»

“There’s no past, no future” lo dice JG nell’intervista inclusa in London Orbital, riferendosi all’autostrada britannica M25 (ma non solo a quella), uno dei raccordi anulari più lunghi al mondo, costruita in epoca Tatcheriana. Nel 2000 Chris Petit and Iain Sinclair girarono un docufilm sulla M25, uno degli esperimenti di analisi psicogeografica più visionari mai realizzati, e in proposito – su alienazione e meccanismi di alterazione spazio-temporale – intervistarono anche Ballard che, ovviamente, rispose a modo suo.

[TBC – grazie a chi sta leggendo Ballardland con me – di nuovo, privilegi]

"Il condominio", di J. G. Ballard

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Approccio scientifico per questo Ballard d’annata (classe 1975) che, nonostante l’età, presenta sempre (più) consistenti e attualissimi spunti di riflessione.

I) Componente sociogeografica (psicogeografia, ne avevamo già parlato per “Disturbo della quiete pubblica” – “Super Cannes”)
II) Malattia mentale come strumento eletto e ultimo per la comprensione della realtà mutata.
III) Possibilità di evitare la limitazione di propri istinti antisociali attraverso una struttura (Eden Olympia / il condominio) che garantisce la quotidianità e la preserva
IV) Ambiente esterno – prime opere, Universo – ambiente interno (realtà modificata in un ambiente non fantascientifico, opere della “maturità”)
V) Violenza con connotazione non individuale ma sociale
VI) Il mondo nuovo che tende al caos – o meglio, alla costituzione di un nuovo ordine sociale attraverso la re-interpretazione del presente
VII) La ricontestualizzazione del brutto, del banale, del fuori moda, a confronto con lo stile, la pulizia delle linee (degli oggetti e… delle persone), il design, la consapevolezza della cultura e della conoscenza verso il dilagare degli aspetti primitivi dell’esistenza (quasi agognati).

NB. Avevamo già incontrato questo aspetto, quello della ricontestualizzazione, in un contesto completamente differente – ma forse non troppo, a ripensarci: torniamo di nuovo alla nostra ultima Oates, in “Sorella, mio unico amore”
Sono stati molto utili, durante la lettura, i vari interventi di uno tra i più eminenti studiosi di Ballard, Antonio Caronia. Vi invitiamo a consultare sul web la sua ampia bibliografia sull’argomento. 

"Disturbo della quiete pubblica" – "Super Cannes", Richard Yates & G. J. Ballard

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Abbiamo accomunato Yates e Ballard perché ci interessava il connubio psichedelico alcool-droghe di sintesi. Eravamo curiosi di porre a confronto questo Yates cupo, segnato dal destino, ferito e disilluso dalla realtà – ma ancora ben radicato in essa – e uno degli ultimi Ballards, che, la realtà, la irride, la svirgola, la trasforma e la manipola fino a creare scenari di visoni metafisiche e surreali, in un delirio visionario di mondi da olocausto nucleare eppure, alla fine, così incredibilmente paralleli a quella realtà che, pareva, avesse abbandonato.
Curioso che due personalità eminenti della letteratura moderna, praticamente coetanei (1926 verso 1930) con molte esperienze simili a curriculum (vedi permanenza nell’esercito) siano arrivati a risultati analoghi utilizzando mezzi diametralmente opposti – ma c’è da dire che l’errore di lettura qui c’è: stiamo paragonando uno scritto degli anni 60 ad uno più giovane di circa 30 anni. Ce lo facciamo andare bene così, per il momento, e poi vedremo perché.
Per questo consiglio di lettura utilizziamo i “bullet points” perché vogliamo offrire soltanto qualche spunto di riflessione spot. A ciascuno poi, l’arte di rifletterci sopra in maniera articolata (e non strutturata, perché qui l’opzione non funziona, visto il gap temporale tra i due scritti).

– Porre a paragone John Wilder – Yates (JWy) e Paul Sinclair – Ballard (PSb). Riflettere sugli “stati di partenza”: affermazione sociale e professionale e successivo abbandono di una situazione di equilibrio, instabile e precario, ma pur sempre equilibrio, a favore di un’opzione totalmente destrutturata, totalmente avulsa dal contesto di partenza – sicurezza sociale, accettazione da parte della comunità, canoni prestabiliti. 
Definirne le motivazioni: per Jwy, desiderio di rivalsa, attitudine alla sfida, desiderio di emergere, aconvenzionalità rispetto alla realtà conosciuta, istinto (possiamo chiamarlo così) di sopravvivenza. Per PSb, passione amorosa, desiderio di compiacere, interesse verso nuove realtà alternative, una certa qual passività di animo e di sentimento.

Alcool e droga di sintesi. L’utilizzo di sostanze psicotrope per sopravvivere a realtà in continuo mutamento ed evoluzione, da cui è impossibile sottrarsi e, viceversa, sopportare. Curioso che Yates avesse già identificato, agli albori della psicanalisi, il potenziale distruttivo di antidepressivi e ansiolitici che sostituiscono i superalcolici e le sigarette (a questo proposito, possiamo anche tornare alla nostra Oates, vedi “Sorella, mio unico amore”). 
Gli antidolorifici da cui PSb si trova dipendente, i derivati dell’eroina assunti dalla giovane moglie in carriera, e le bottiglie di gin scolate di nascosto da Jwy, tracannate in solitudine, in bettole mefitiche e luride, giusto pochi attimi prima di partecipare alla riunione degli AA, ben poche differenze hanno tra loro.

– Le realtà alternative, sottoinsiemi rotondi e tracciati di rosso, gli uni dentro agli altri: per PSb, il complesso di Eden-Olympia, un paradiso perduto che sa tanto di Dante Alighieri, con i suoi gironi e le sue bolge infernali, per quanto edulcorati e trasmutati dall’aria condizionata e dalla brillantezza delle superfici vetrificate. 
Per Jwy, il centro di igiene mentale, luogo infernale di malattia, sudiciume, violenza, disprezzo, pazzia.

– La pazzia lucida (e qui torniamo al matto che parla, vedi Revolutionary Road, o al ricercatore Robert Kerans compagno di avventura del colonnello Riggs nel Mondo Sommerso). In parte, Jwy perde il senno si direbbe quasi consapevolmente. La pazzia non assume i contorni, ahimè più consistenti, di un delirio reale e drammatico, inevitabile e devastante, ma viene per certi versi ricontestualizzata ad arte per assomigliare sempre più ad una quasi consapevole – e teatrale – uscita di scena. 
L’alienazione mentale (fomentata sempre più spesso da alcool o sostanze) risulta l’unico mezzo, di rivalsa istintiva e senziente, attraverso cui chiamarsi fuori da una realtà sempre più estranea e incompatibile con la propria esistenza interiore. 
Ballard invece, nei suoi tratti visionari, va ancora oltre. In una società in cui nulla è più lasciato al caso, all’improvvisazione e all’istinto naturale, la psicopatia CONSAPEVOLE e guidata è l’unica via di uscita per conservare una SUPPOSTA lucidità di fondo che aiuti a sopravvivere nella realtà del quotidiano e del necessario. 

Interessantissimo confronto tra le parti: Yates, nella sua essenza di autore letterario fedele ad un realismo puro, scarnificato e incontrovertibile, definisce la fuga come unica via di uscita da una vita ormai priva di qualsivoglia significato intrinseco. Ballard, libero invece da ogni sovrastruttura letteraria di questo genere, si abbandona a una riedizione fantascientifica totalmente nuova e di violento impatto psicologico: l’analisi della realtà di oggi, che non è più necessario abbandonare, ma che è sufficiente de-compattare e poi ri-comprendere; l’Uomo, attraverso strumenti nuovi, totalmente scevri da qualunque etica e qualsiasi morale, non è più costretto ad un esilio volontario (e in parte salvifico). 
L’Uomo di Ballard, nel nome di nuovi, fecondi ideali solipsistici, può vivere appieno la sua Nuova Era.

– Sembra stupido ma… l’arte cinematografica & LA PISCINA. Dare un occhio alle ambientazioni. 
E’ inutile, Ballard rimarrà per sempre affascinato dalle sue visioni perfettamente surreali e abbacinanti. Da qualsiasi parte lo si legge, coordinate che sempre ritornano e che fa piacere ritrovare: il sole violento e caldissimo che batte contro le pareti di vetro e acciaio di palazzi addormentati – o abbandonati; la luminosità del cielo che si riflette negli specchi d’acqua di piscine azzurre, immobili, su cui navigano moscerini minuscoli, dalle ali argentee. 
Da confrontare con la parentesi “cinematografica” di Jwy: una Los Angeles allucinata, chiarissima, persa nel caldo e nell’afa dell’estate; una città post nucleare popolata da attori squattrinati – prigionieri di appartamenti microscopici arredati a colori pastello e soffocati dai flebili effluvi provenienti da vetusti e mal funzionanti condizionatori d’aria – e da imprenditori senza scrupoli, volgari e reietti, confinati in  ville-con-piscina immerse nei verdi villaggi residenziali (SuperCannes docet) sulle alture holliwoodiane. Si confronti anche l’industria cinematografica a firma Yates con la descrizione puntuale e accurata del Festival del Cinema di Cannes alla Ballard-maniera. Risultati … stupefacenti.