"Non tutti i bastardi sono di Vienna", di Andrea Molesini

More about Non tutti i bastardi sono di Vienna Funziona che certi testi devono decantare nell’animo. 
Solo ora affrontiamo il titolo vincitore del Campiello 2011, “Non tutti i bastardi sono di Vienna” di Andrea Molesini (Venezia, 1954), esordiente al suo primo romanzo ma di certo non una new entry del panorama editoriale italiano: professore di letteratura italiana contemporanea a Venezia, scrittore per ragazzi (premio Andersen 1999), traduttore (Pound, Simic, Walcott), poeta. 
Lettura lenta prima di tutto, perché succede che fin dalle prime pagine si venga sommersi da echi lontani, voci nascoste una dentro l’altra che occorre prendersi il tempo di decifrare: un’opera colta, questa, che riporta, come ha ben espresso la critica (*), da una parte alla tradizione hemingwayana di “Addio alle armi” per temi e struttura del dialogo (Matteo Giancotti, CorSera Veneto 23/07/2011), dall’altra a Pavese (“romanzo di iniziazione”), Fenoglio “per i toni minori […] e per l’attrazione-reverenza […] nei confronti di alcune figure femminili” (Giovanni Pacchiano, Sole24Ore 19/06/2011) e Nievo (Ermanno Paccagnini, CorSera 07/11/2010). O ancora, a Tommasi di Lampedusa per alcune scene interne e corali (sempre EPaccagnini) che rimandano anche, per dialoghi e struttura, all’arte teatrale (Bruno Quaranta, ttL La Stampa, 22/10/2011). 
L’opera – una delle poche dedicate a questo tema – affronta uno dei momenti più critici della Storia d’Italia, quello appena successivo alla disfatta di Caporetto fino a Vittorio Veneto. L’autore mescola con abilità e delicatezza, senza forzature né in un senso né nell’altro, le vicende storiche di quella parte di Italia alla sinistra del Piave che fra il 9 novembre 1917 e il 30 ottobre 1918 viene a trovarsi al di là dalle linee nemiche, e la storia privata – per metà creata ad arte, per metà testimonianza d’epoca – di una famiglia di alta borghesia, gli Spada, “invasa a casa propria”, rimasta isolata in una villa a pochi chilometri dal fronte, insieme al resto del paese. 
Il resoconto della vicenda è affidato al diciassettenne Paolo, orfano dei genitori deceduti anni prima nel naufragio di un piroscafo non ben identificato. Paolo è affidato al nonno Guglielmo, spirito libero e anticonformista (da anni impegnato nella stesura di un “romanzo” di cui nessuno ha mai letto neppure una pagina dattiloscritta), alla coltissima nonna Nancy, brillante matematica in possesso di un albero genealogico internazionale (e di una collezione unica di clisteri da bagno, che utilizza regolarmente), alla nubile ma ancora affascinante zia Maria, vera amministratrice di casa Spada. 
A villa Spada pongono il comando prima i tedeschi e poi gli austroungarici, di cui Paolo è osservatore curioso. 
Il suo sguardo lucido e spietato raccoglie appieno il tema sociale principe della narrazione, ossia il rapporto difficile tra una famiglia nobile – una certa classe sociale italiana ed europea oramai in declino – e i comandanti stranieri spesso aristocratici e ben istruiti che a fatica riescono a digerire il ruolo imposto loro dalla barbarie della guerra. Entrambi i protagonisti, vincitori e vinti, sono impegnati a combattere la medesima rassegnazione incipiente nei confronti del nulla, a essa opponendo una strenua “cortese scortesia” quasi che le buone maniere possano ergersi contro la forza imponente della brutalità. Fino all’inevitabile precipitare degli eventi. “Se il nostro attaccamento alle buone maniere venisse a mancare, cosa resterebbe fra noi e l’agire dei predoni?” (p213) domanda l’affascinante Generale Bolzano alla Signora Nancy, un dialogo serrato che deve la sua perfezione anche alla contestualizzazione impareggiabile (una cena di gala a casa Spada “gentilmente offerta” dai dominatori ai dominati, con tanto di servitù in livrea schierata ai bordi della scena, sotto i ritratti degli antenati Spada illuminati dalla luce fioca delle candele).
In mezzo, una serie di comprimari anch’essi disegnati con stile, dalla servitù di casa Spada (la vecchia Teresa con la figlia Loretta), il custode Renato, che di segreti ne nasconde un po’ troppi, la misteriosa Giulia, altra figura femminile abilmente tratteggiata con sensualità e vigore, il capitano tedesco Korpium e il barone austriaco von Feilitzsch, impeccabile nei modi ma inflessibile nel ruolo impostogli dalla fedeltà alla bandiera. 
Io… io, Madame… ho visto i miei soldati venire su da quel fiume, venivano su dall’acqua, come i vostri gnocchi di patate nel tegame, mi capite, Madame? Gnocchi nell’acqua che bolle” (p.324) si lascia sfuggire il barone a colloquio con donna Maria, in un momento di profonda confidenza a giochi ormai conclusi. 
L’opera è percorsa da ritmi diversi ben congegnati, che assecondano quelli della guerra, tra attese in trincea e improvvisi attacchi di cannone, e quelli della natura, fra inverni sempre più lunghi, freddi e poveri, la neve dei campi sfigurata dal sangue dei militari caduti sotto le cannonate, ed estati roventi foriere di morte ed epidemie, odori di sangue e putrefazione.
La narrazione sociale si sostiene grazie alla puntuale ricostruzione storica e all’uso di una lingua viva e dinamica in cui il dialetto si esplica ad hoc, solo quando occorre, e si intreccia con il romanzo di formazione: il potere ipnotico e urgente della guerra catapulta Paolo, adolescente irruento nel fiore dell’età, dall’ovatta tiepida, autoironica (non mancano i momenti comici, infatti) e aristocratica della famiglia Spada al mondo adulto. In pochi mesi Paolo affronterà la morte e la tragedia della battaglia che porta con sé la fame, la malattia, il compromesso morale, lo stupro, l’assassinio ma scoprirà anche l’euforia dell’avventura patriottica e la passione amorosa. 
E siccome “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, a voi l’onore di scoprire quale sia il vero, più feroce bastardo dell’opera.

Buona lettura.
(*) Grazie a @sellerioeditore per la rassegna stampa sull’opera: la potete trovare qui, sul website dell’editore, completa anche di documenti video e audio. Alla memoria di Elvira Sellerio, per altro, AMolesini dedica la vittoria del premio Campiello.