“Terra Alta”, di Javier Cercas (trad. Bruno Arpaia)

“Argomentò che, per lui, uno scrittore era una persona come le altre, né migliore né peggiore, che bisognava essere consapevoli dei limiti della letteratura e bisognava bandire la presunzione narcisistica, petulante e atiquata che avesse qualche utilità, perché in fondo la letteratura non era che un gioco intellettuale, un intrattenimento incapace di insegnare qualcosa a qualcuno o di cambiare qualcosa”. (pag55)

Ho finito #TerraAlta la notte scorsa. Sono arrivata a Javier Cercas per una strada curiosa: seguendo il suo traduttore. Così funziona per me, a volte. E quello a cui più tengo in questo caso non è tanto “Terra Alta” in sé, che è un poliziesco bellissimo (non per niente ha vinto il premio Planeta nel 2019) intessuto di paesaggi, natura, letteratura, libri, citazioni – prime fra tutte quelle da “I Miserabili” – tenuto insieme da una trama fitta, ricca di colpi di scena e bei personaggi che non cedono mai allo stereotipo, ma l’aver scoperto uno scrittore pazzesco.

Ora penso proprio che andrò a ritroso, a recuperare quel che mi preme, per esempio “L’Impostore”. Cercas è un bravissimo giallista perché bada bene di conservare “Terra Alta” lontano da quella decontestualizzazione un po’ cinematografica che purtroppo è ormai parte integrante di molti polizieschi contemporanei. Ma Cercas non è soltanto un bravo romanziere: la sua opera è militante, mi par d’aver capito, perché per lui ogni dolore, anche quello più personale, è legato alla Storia: ogni fatto crudele, ogni rabbia, ogni desiderio di vendetta è, di base, alle origini, il frutto di un passato comune, di un danno sociale, di una crisi che non è solo intima ma anche collettiva. E tutto, voglio dire il privato e il collettivo, è sempre mescolato insieme, perché – come curiosamente ci sta capitando proprio ora:

“C’è gente che dimentica che quella guerra è stata anche questo. Una valvola per sfogare gli odi, i diverbi e i rancori accumulati per anni” (pag.356)

e siccome “la giustizia non è soltanto una questione di contenuto”, accade che “non rispettare le forme della giustizia è la stessa cosa che non rispettare la giustizia”. (pag258)

Sicché io penso proprio che Javier Cercas dovrei continuare a leggerlo.