I Cazalet – “Confusione”, di Elizabeth J. Howard (trad. Manuela Francescon)

“I piani non possono mai essere semplici quando coinvolgono altre persone; lo sembrano quando uno se li fa nella propria testa, ma quando entra in scena l’altra parte in causa ecco che le intenzioni più semplici s’incrinano sotto il peso del conflitto”

Non si può più fare a meno dei #Cazalet. Sono la nostra zona di conforto, il rifugio che sa di casa – e questa volta avevano anche il profumo del Natale, per noi Cazaladies: della crema al cioccolato, delle vellutate, del panettone caldo, del caffè preso con calma (e pure della pasta all’olio e parmigiano!).

La questione è che ci eravamo messe d’impegno: avremmo vivisezionato questo terzo volume, avremmo fatto alla Liz pelo e contropelo, ne avremmo tirato fuori le magagne. Dopo due volumi ci sentivamo pronte: saremo implacabili! ci raccontavamo. “Loro tre” avanti, io come al solito un passo indietro, a raccoglier quel che ne veniva.

Poi però sono capitate delle cose.

Ci siamo trovate di fronte una struttura per certi versi inedita, fatta di dialoghi strettissimi e ciechi, di lettere e bigliettini spediti chissà dove e a chissà chi, di personaggi meteora capitàti in due pagine e poi basta, messi lì apposta per consegnarci più dubbi che certezze.

E infine, ciliegina sulla torta, è capitato pure l’amore. L’amour toujours l’amour: quello vero, dirompente, adulto, magnifico, tragico – quello a cui la Liz non ci aveva proprio abituate. Lo davamo già per spacciato e invece eccolo: quel sentimento per cui non ci si capisce più niente.

La professionalità delle Cazaladies, tuttavia, si rende evidente nel momento del bisogno: è stata dura ma alla fine, a restar lucide ce l’abbiamo fatta. Abbiamo riflettuto sui temi importanti che questo #Confusione ha sollevato (l’acutezza con cui Elizabeth li ha trattati è sbalorditiva): ad esempio la questione del diventar madre, del crescere i figli, della depressione post-parto, del meccanismo della “rinuncia”; oppure del rapporto tra genitori e figli nel momento in cui lo scarto generazionale diventa insostenibile; o ancora il diventar grandi di Polly e Clary tra identità individuale, desiderio di emulazione, riflessioni sul tempo che passa e su un futuro che più incerto di così non si può (perché la guerra, nonostante i suoi orrori, era strumento perfetto per creare l’alibi della non-fattibilità dell’azione). Abbiamo discusso di quella certa bidimensionalità in cui sembrano scivolare alcuni protagonisti e della ridondanza (per definizione superflua) concessa a un altro paio di comprimari – e qui è contenuta alla fine tutta la nostra stoica resistenza nei riguardi della serialità: il timore che il personaggio sparisca, vittima di colpi di scena sempre più frequenti, sempre più necessari e sempre meno realistici. Ma niente panico, Liz comunque ne esce assolta: perché è risultato chiaro che se da una parte tenere salde le redini di una saga familiare così sostanziosa non è sempre possibile, dall’altra l’opera mantiene di fatto una sobrietà di trama all’interno della quale anche il più imprevisto coup de théâtre non risulta improbabile né affettato.

I ringraziamenti vanno in primis alle mie ladies Angela, Giulia e Monica (in rigoroso ordine alfabetico): sembra di conoscersi da sempre – so che non è così ma mi pare che leggere insieme apra gli animi. Grazie poi a tutti gli estimatori dei Cazalet che hanno interagito con noi su Twitter e a tutti coloro che si sono avvicinati alla Liz a seguito della nostra lettura condivisa. Last but not least: ma quindi le Cazaladies torneranno con la puntata numero quattro? Pensiamo proprio di sì – anche se i tempi sono da definire (causa Salone del Libro e letture obbligate). Fosse solo per assistere a giusto un paio di vendette che non vediamo l’ora, in tutto il nostro aplomb di esperte delle lettere, di veder servite a chi se le merita, su un bel piatto di finissima porcellana – di quelli che stanno a far bella mostra di sé nella credenza della Duchessa. Liz, confidiamo in te, non deluderci.

Nota personale: su tutto e tutti comunque spicca il Generale, avvinghiato all’apparecchio telefonico come una cozza al suo paletto, nella spasmodica attesa di un trillo. Il Generale nomofobico ante litteram, insomma, è tutti noi.

[Se siete interessati a capire come tutto sia cominciato, qui la prima e la seconda puntata di questa avventura]

I Cazalet – “Il tempo dell’attesa”, di Elizabeth J. Howard (trad. Manuela Francescon)

Insomma qui siamo giunte. Sempre noi tre – più una. E’ stato un mese complicato perché si sa, non è questione facile riuscire a leggere per piacere quando i libri si leggono anche per mestiere. Eppure ce l’abbiamo fatta e ne siamo molto orgogliose – anche perché in un paio di occasioni lavorative ed extra abbiamo navigato in acque agitate, chi per un motivo, chi per un altro. Ma ci siamo riuscite.

E quindi ecco cosa ho imparato da questo secondo volume dei Cazalet, in rigoroso ordine sparso.

Ho imparato che prendere troppe aspirine non è elegante e la Duchessa disapprova. Che l’amicizia ha una potenza enorme nel legare le donne, una forza spaventosa e dovremmo sfruttarla di più – tutte quante. Che mi piacerebbe ricevere in regalo uno scrittoio di legno pregiato con dei cassetti segreti dentro cui trovare buste vecchissime scritte in una lingua incomprensibile. Che in un’altra vita avrei sicuramente fatto l’attrice. Che se una sera ti ritrovi a un tavolo con quell’uomo lì, quello che ti fa battere il cuore, l’alternativa è tra restare seduti e non riuscire ad abbracciarlo, o invitarlo a ballare. Che gli orchi esistono, dovunque, e soprattutto sbucano fuori dagli angoli da cui meno te li aspetti. Che la guerra, vicina o lontana, rovina il futuro. Che devo ricominciare a indossare vestiti di lana. Che non è semplice sistemare sotto lo stesso tetto decine e decine di personaggi e tenere le redini di tutte le loro storie, e che scrittore e opera alla fine forse sono sempre un po’ la stessa cosa, almeno in certi luoghi dell’anima e del testo.

Mie care Angela, Giulia e Monica: niente da fare, io senza di voi non ci sto più. Tanti cuori (ps. lo spazio qui sotto, nei commenti, è sempre vostro, se volete).

I Cazalet – “Gli anni della leggerezza”, di Elizabeth J. Howard (trad. Manuela Francescon)

Tutto è partito da qui, per dire il potere dei libri. Accadde di domenica, il 18 agosto. Dalle mie parti era una bella giornata di sole, quello proprio alpino con il cielo blu fortissimo, nemmeno una nuvola all’orizzonte e le bandiere mosse da una brezza leggera, in cima ai pennoni piantati nei giardini: italiane di qui – dalla parte della valle – rosse con la croce bianca al di là della strada.

Succede che a un certo punto della mattina una persona a me cara apre Twitter e chiede, così a bruciapelo – che faccio, prendo? (Con quel tono, sarà che mi è piaciuto proprio, come la scena del salumiere: “Signora è unettoeventi, lascio?” E tu che sospiri un rassegnato sì, cosa vuol fare? Sta a levarmi due fette, ora che le ha messe? E lasci pure; tanto – pensi – qualcuno si trova sempre, che alla fine quelle due fette di crudo se le mangerà).

Che facciamo quindi, lasciamo?

E’ stato lì, in quel momento p r e c i s o – quello scarto del pensiero, uno sliding doors a momenti impercettibile – che la Liz ci ha fregate. Proprio lì. Sta di fatto: io rispondo che sì, se clicca lei sul tasto acquista ci clicco pure io e va’, potremmo pure leggere insieme, ché io ad andare avanti da sola stavolta proprio non mi fido. Lei risponde si potrebbe, ma tentenna, sai le saghe familiari, duecento nomi da ricordare, i mattonazzi… però c’è qualcosa più forte del dubbio. Non cediamo e addirittura finisce che ci ritroviamo in tre. A cliccare su acquista e cominciare i Cazalet.

Era una domenica di metà agosto e non lo sapevamo ancora: quel giorno la nostra vita di lettrici sarebbe cambiata (forse per sempre? Chi lo sa!)

Dei Cazalet hanno scritto tutti. Quindi non starò a raccontarvi chi sono o da dove vengono o di cosa si narra nel primo volume. Questo post non racconta un libro ma il potere che hanno i libri di unire le persone e di generare riflessioni e pensieri nuovi. Il potere di far cambiare idea.

Noi #GliAnniDellaLeggerezza lo abbiamo letto proprio insieme, riga per riga, un paragrafo via l’altro, a suon di 10percento alla volta. Ognuna con il proprio bagaglio di dubbi, preconcetti e brutte esperienze. Eravamo scettiche, poco convinte, pensavamo di saperlo, cosa ci avremmo trovato dentro – ne eravamo così sicure. Troppi nomi! Troppe vicende! Troppe pagine, troppi volumi! Quel troppo “tirar di trama”, quel senso del costruire accadimenti uno dopo l’altro mettendo le pezze via via, dove occorre. Questo, avremmo trovato. Ne eravamo praticamente certe.

Come è finita la mia (nostra), personale avventura con Elizabeth potete leggerlo sul Twitter. La Liz è potente: crea magie, spazza via in un solo colpo ben assestato tutti i pregiudizi. Troppi personaggi? Sì, ma sono così veri che troppi non lo diventano mai. Troppe pagine? Sì, ma vanno così una dentro l’altra – e per paradosso mai di fretta, non vi ingannate – che troppe non lo sono mai. Troppe vicende? No, perché i Cazalet si incastrano in un domino di eventi che fatto uno tutti gli altri arrivano a catena, inarrestabili – e poi la Liz non si prende certo la briga di spiegare tutto al lettore, anzi. Le pagine scritte gli bastino! par che dica – e per il resto si arrangi – niente toppe postume a spiegar questioni. E l’estate, cielo, l’estate. Quella magia che capita sempre, quando succede di leggere un libro esattamente nella stagione del libro(*).

E poi ancora, la questione del femminile, della maternità o troppo celebrata, o data per scontata, finanche negata; il rapporto tra uomini e donne, lo scarto generazionale, il new nature writing; lo stile, le concatenazioni della trama, la sapienza del progetto creativo. Sono state due settimane di lettura intensa, di confronti, di citazioni, di stravolgimenti, di stupefazioni, di ah sì te lo avevo detto e no non farmi parlare che lì tu non ci sei ancora arrivata e stai attenta, usa cautela, vai adagio, cerca gli indizi. Trovate tutto qui.

Io non posso fare altro che ringraziare le due preziose amiche che mi hanno accompagnata in questo viaggio – mai avrei potuto intraprenderlo da sola: Angela con quel suo sguardo da insider che sa prendersi il giusto tempo, quel suo modo lento di leggere, soppesando le parole una a una – l’approccio attento che a volte mi manca, perché sono spesso vittima dell’urgenza del finire; Monica con l’istinto per la forma, nel recuperare i nodi della traduzione, i punti critici della narrazione, il progetto nella sua totalità – visione d’insieme di cui io talvolta difetto per struttura mia, personale.

Leggete in gruppo se vi capita, anzi createne l’occasione, perché la lettura collettiva è uno dei mezzi attraverso cui si riesce a scoprire se un libro è buono per davvero. E’ un percorso in compagnia, un tratto di strada fatto insieme da cui si esce sempre arricchiti, con qualcosa in più da conservare, qualcosa in più su cui continuare a riflettere.

Buona lettura 🙂

(*) sì, ammettiamolo, qui l’editore ci ha messo del suo! – ma a proposito (ultima nota, mia personale) soo many thanks al SMM di Fazi Editore, attivo/a pure a metà agosto. Super engagement e tante persone che ci hanno seguito in questa avventura: ecco cosa succede quando i social funzionano, e pure nel modo giusto. Tanti cuori, come si dice.