"Il Sostituto", di Brenna Yovanoff

More about Il sostituto Strizzando l’occhio a opere letterarie e cinematografiche ormai parte dei classici del genere, da Tim Burton (“La Sposa Cadavere”, “Nightmare before Christmas”, “Edward Mani di Forbice”, per citarne solo alcuni) a Neil Gaiman (uno su tutti, “Coraline”), Brenna Yovanoff costruisce un thriller gotico dalle atmosfere dense, affiancando uno stile narrativo fluido, equilibrato ed incisivo – a cui deve di necessità adeguarsi ogni opera letteraria che al Young Adult di matrice gothic-horror si ispiri – ad una caratterizzazione iconografica dei protagonisti e del paesaggio così forte e particolare tanto da rasentare quasi l’espressione artistica più pura del fumetto black&white. 
Mackie Doyle, il sedicenne protagonista della vicenda, vive a Gentry, una cittadina della provincia americana creata ad arte dall’autrice eppure così reale e viva nell’immaginazione di ognuno di noi: l’onnipresente Highschool, la piccola chiesa fulcro della vita spirituale del paese, i luoghi di ritrovo dei teenagers – dal parco in disuso, tra altalene sbreccate e immondizia varia, al vecchio teatro polveroso chiuso da anni e poi riadattato, forse dai giovani stessi, in un tripudio di anarchia ed autogestione, a luogo adibito alla musica rock e punk, che tanta parte avrà, per titoli citati e sonorità ben definite, nello svolgersi del romanzo. 
Non manca neppure, accennata in un soffio ma ben presente nell’economia dell’opera (come dire, esce dalla porta ma rientra dalla finestra), l’attualità della crisi finanziaria, fatta di piccole cittadine di provincia rese fatiscenti dalla depressione economica e industrie primarie abbandonate al proprio triste destino – quasi delle Chernobyl moderne, tra mucchi di scorie lasciate morire al sole e dipendenti pronti a tutto pur di recuperare quel poco di dignità, e di sicurezza economica, che la fabbrica aveva garantito. 
Il mondo di Mackie è il tipico universo YA fatto di prom, feste, amici, rivalità tra i banchi e i vassoi della mensa scolastica, reginette di provincia elette al ballo di fine anno ed esclusi di turno. Eppure, “Il Sostituto” è un fantasy. “Ma senza vampiri assetati, angeli caduti o stucchevoli fatine” (SColombo *). 
La parte soprannaturale c’è, eccome, ma viene tutta costruita, con un’abilità leggera e all’apparenza senza sforzo che si merita davvero l’aggettivo di “innovativo” (o forse, al contrario, siamo di fronte a un “back to basics”? Il dubbio ci assale), al di là della dicotomia standard belli, buoni e coraggiosi / brutti, cattivi e codardi. Perché nessuno, a Gentry, è quello che sembra. Mackie è un adolescente allampanato il cui passatempo preferito è fare il possibile per rendersi invisibile agli occhi degli altri studenti e dei concittadini. Impegno massimo, come da copione – e poi capirete il perché – ma, come ovvio, risultato nullo. Gli fanno da spalla la sorella Emma, uno dei personaggi più riusciti del romanzo per complessità e coerenza narrativa, l’amico fidato Roswell e i due fratelli Corbett, gemelli dai modi inquietanti che nel tempo libero si dedicano alla costruzione di strani oggetti e meccanismi che evocano con non poca enfasi e rigore il più puro genere steampunk. Quest’armata Brancaleone, fatta di persone che vivono sopra, ha come corrispettivo una sarabanda di creature magiche e demoniache – di età immemorabile ma dall’aspetto spesso bambinesco o al massimo adolescenziale – che abitano il sotto, tra tumuli di vecchie discariche tossiche, tombe sconsacrate e cunicoli invasi dall’acqua e dal trascorrere del tempo. 
Come accade nella “Sposa Cadavere”, in “Coraline” ma anche nella più classica e datata favola di Biancaneve, non sempre l’aspetto fisico è specchio dei moti interiori dell’animo. Tanto che i civilissimi abitanti di Gentry – la parte adulta della società con cui i giovani si misurano quotidianamente (tra i quali spicca il pastore della chiesa, nonché padre di Mackie) – paiono accettare di buon grado che una volta all’anno, nella notte di Ognissanti, gli spiriti più violenti e ancestrali che popolano un altro sotto escano dai propri lugubri nascondigli per partecipare ad un rito cruento di espiazione: il sacrificio di un bambino, rapito dalla culla, sostituito con una creatura del sottosuolo e offerto in tributo. Già, perché come ce ne sono due, di sopra, così ce ne sono due, anche di sotto. E quello che fa più paura è proprio questo secondo sotto: più “adulto”, più perfetto nel suo orrore, popolato da creature evanescenti nella loro bellezza di anime perdute nel sangue e nell’eternità. 
In mezzo a tutto questo equilibrio precario sta Mackie, che per nascita dovrebbe stare da una parte ma per affetti dall’altra, e che tenterà, senza particolari prove di coraggio o poteri straordinari ma soltanto attraverso quel che ha di più prezioso, l’amore per i suoi cari e l’affetto per il mondo che lo circonda (sia sopra sia sotto), di rimarginare una ferita infetta, rimasta aperta da troppo tempo. (Il melodramma sentimentale comunque – altro pregio dell’opera – è sapientemente evitato grazie alle solide virate splatter che strappano al lettore puri brividi di orrore genuino, a metà strada tra la repulsione e il “guilty pleasure”). 
Tutto, nel romanzo di Brenna Yovanoff è, come dire, sostituito e nulla occupa il posto che, a rigore, dovrebbe. Come accade per la matrigna di Biancaneve, sovrana bellissima ma crudele nell’animo, o la casa di pan di zenzero della strega cattiva di Hansel e Gretel, o come i genitori-allo-specchio che Coraline inconsciamente desidera e che poi si trasformano in (no, meglio, si rivelano essere) marionette mostruose dagli occhi a bottoni e denti affilati. O come la Sposa Cadavere, che nel suo orrore di carne putrefatta, ossa sporgenti e bulbi oculari alla deriva dimostrerà un’umanità molto superiore a quella propria dei vivi. 
Un interessante articolo di Severino Colombo (i virgolettati * gli appartengono) apparso su @La_Lettura di qualche settimana fa (qui, dal sito della casa editrice) ha avuto il merito di farci conoscere Brenna Yovanoff e il suo romanzo di esordio. Affascinante già dalla copertina: un’immagine studiata e lavorata nei dettagli che per una volta ci libera da quei tratti romance così cari oramai alla narrativa YA (e che spesso hanno poco a che fare con il contenuto dell’opera) per riportarci, anche visivamente, ad un sentimento coinvolgente di inquietudine e timore, che ci aiuta ad apprezzare emotivamente il testo e a mantenere costante la tensione e il giusto ritmo di lettura. 
Peccato per un paio di refusi di troppo.
Buona lettura 🙂