"La congiura", di Jaan Kross

Jaan Kross (Tallin, 1920-2007)una lunga carriera di professore universitario e scrittore candidato più volte al premio Nobel, è stato il più importante e riconosciuto autore estone dell’epoca contemporanea. 
Nel 1988 dà alle stampe una raccolta di racconti dal titolo “Il giorno della vista ritrovata” che comprende, tra le altre, le tre narrazioni contenute in questo volumetto (“La ferita”, “La grammatica di Stahl” e, appunto, “La congiura”).

Tre testi, scritti tra il 1979 e il 1980, che non sono mai stati pubblicati in Italia e che Iperborea ha proposto a inizio anno in traduzione a firma Giorgio Pieretto, curatore anche della ricchissima postfazione al volume. 
Uno dei primi volumi, tra l’altro, a essere presentati al pubblico nella rinnovata veste grafica annunciata dalla casa editrice milanese proprio a gennaio 2015. Scelta intelligente questa di Iperborea, che non ha mancato di ribadire ancora una volta, di fronte ai propri estimatori, l’impegno nel proporre autori significativi e opere di chiara qualità letteraria

In questo caso la selezione operata dall’editore nel definire il corpus dei testi rende evidente l’intento di offrire tre narrazioni accomunate dal medesimo fil rouge: mostrare le linee tematiche e stilistiche che hanno sempre caratterizzato la tecnica di questo autore, pressoché sconosciuto in Italia.

Dell‘Estonia prebellica ci parla accuratamente Pieretto, spaziando dall’identità culturale sempre sotto assedio, per parte dell’Ovest come per l’Est, alle questioni politiche instabili e precarie, tra ingerenze staliniste e avidità nazional-socialiste:

“Stanziati sulle sponde del Mar Baltico, sul limes fra mondo germanico e mondo slavo, cioè tra due grandi protagonisti della storia europea, spesso antagonisti, gli estoni hanno alle spalle lunghi secoli di dipendenza. Con un territorio occupato di volta in volta da danesi, cavalieri teutonici, polacchi, svedesi, russi e sovietici, gli estoni sono sopravvissuti alle dominazioni grazie al senso, molto radicato, della propria lingua, parlata oggi da non oltre un milione di persone, e delle proprie tradizioni. Nei racconti di Jaan Kross rivivono, quasi giorno dopo giorno, e dall’interno, due decenni di storia estone. Storia moderna” (pp173-174)

E’ in questo clima politico e sociale che si muove l’alter ego letterario dell’autore, Peeter Mirk
Studente universitario nel primo racconto (“La ferita”), si trova a dover fare i conti con il rimpatrio della popolazione di origine tedesca voluto da Hitler nel 1939; esodo di massa – più o meno volontario – che segna non soltanto l’inizio della diaspora per la popolazione estone ma anche la fine delle illusioni e dell’innocenza del giovane Peeter, macchiata irrimediabilmente da un accadimento personale mero frutto, come quasi tutto quello che accade in guerra e che marca la differenza tra sopravvissuti e vittime, del caso e delle coincidenze fortuite. 
Scrittore dissidente in fuga nella seconda narrazione ambientata nel 1944 (“La grammatica di Stahl”), Peeter è costretto alla macchia a causa di un pamphlet ancora inedito ma conosciuto nella cerchia degli amici universitari, contenente veementi invettive contro il regime nazista. Lo sguardo dell’autore si allarga fino a comprendere, per la prima volta, il microcosmo della prigionia, l’assurdità della burocrazia, il meccanismo della delazione e ancora, di nuovo, sempre più prepotente, il ruolo del caso e della coincidenza. 
Infine, con “La congiura”, assistiamo alle vicende di un Peeter ormai adulto, prigioniero politico del carcere di Tallin a guerra conclusa (la medesima prigione che lo ha visto ospite due anni prima – come realmente accaduto all’autore, che prima conosce il carcere per mano dei Tedeschi e poi nei gulag siberiani) e protagonista di una vicenda grottesca tanto amara quanto banale – uno scherzo goliardico a un compagno di cella – anch’essa frutto più del caso che di una vera e propria premeditazione. 


I testi di “La congiura”, che quindi vanno a formare un trittico indivisibile, evidenziano con naturalezza e sistematicità uno dei temi cardine di tutta l’opera di Kross: l’assenza assoluta di una dicotomia, netta e decisa, tra bene e male
Da questa consapevolezza viene la particolare armonia con la quale Kross è solito affrontare la drammaticità dei temi che tratta in tutte le sue opere: di fronte alla necessità, da parte dell’uomo, di misurarsi con eventi straordinari e incomprensibili, l’unico mezzo attraverso cui poter analizzare il reale senza perdersi né in un inutile vittimismo e neppure in una sterile invettiva è lo strumento dell’ironia
Un umorismo sottile e arguto, mai abbozzato, che riempie il testo e scivola tra le pagine evitando abilmente derisioni e sarcasmi. 
Una finezza di pensiero che si accompagna a scelte stilistiche di preciso taglio poetico, nel lessico, nella sintassi e nell’organizzazione della materia e che dà ampio spazio alle parti descrittive, ispirate ed evocative, senza tralasciare il dialogo il cui utilizzo equilibrato non è mai ridondante ma sempre necessario e sufficiente all’economia dell’opera.

“E ora eccomi al Kultas a guardare Karl e, oltre le sue spalle, il giovanissimo Jossif Schagal, che si sistemava il violino sotto il mento preparandosi al programma musicale del pomeriggio e rispondeva a ognuno dei tanti sorrisi che gli rivolgevano i clienti intorno. I più sorridevano perché la musica di quel ragazzo era uno dei pochi fili rimasti intatti nella tela lacerata della quotidianità. Un paio perché di diceva fosse il nipote del grande Marc Chagall” (“La ferita”, p25)

“(…) comperai per Flora tre rose pallide. Delle rose – perché avevamo sì tutta la vita davanti, ma quello poteva essere il nostro ultimo incontro. Delle rose pallide – perché un colore più vivace sarebbe stata una bugia” (Ibid. p30)

“Abiti da sera si dirigevano tranquillamente verso il teatro. Le vetrine dei negozi della galleria Kalev luccicavano. Una fiumana di gente entrava nel teatro dei Lavoratori. (…) Le finestre della sinagoga erano illuminate. Il pubblico del cinema Modern si riversava in strada dopo la fine della proiezione. Visi raggianti, sorridenti, cupi, spenti, indifferenti… Sentivo appieno lo stato d’animo e il vero dilemma di quei giorni (fra quelli che gioivano segretamente della salvezza e quelli che si sentivano a bordo di una nave che affondava, dove stava la verità?) accartocciarsi dentro di me come un foglio di giornale, in cui era avvolta, come una pietra, la mia responsablità” (Ibid.p49)

“(…) c’era per altro un pacifico vecchietto prossimo agli ottanta che per trent’anni era stato sindaco del suo villaggio nella provincia di Parnumaa ed era poi entrato negli annali non scritti del carcere con le ultime parole pronunciate in tribunale: <>” (“La congiura”, p138)

Buona lettura 🙂

(…in attesa de “Il pazzo dello Zar”, l’opera più conosciuta di Jaan Kross – pubblicata in Italia anni fa da Garzanti, con prefazione di Claudio Magris e ormai introvabile – che uscirà a gennaio 2016 in nuova edizione, sempre per Iperborea)