“Tre millimetri al giorno”, di Richard Matheson (trad. Eladia Rossetto)

“Il ragno si avventò contro di lui sulla sabbia in ombra, agitando freneticamente le zampe filiformi. Aveva un corpo nero, lucido, a forma d’uovo, che tremolava per la furia dell’assalto e si lasciava dietro sulle dune immobili una scia di graffi che smuovevano rivoletti di sabbia,”

A leggere Matheson la sera, poi di notte si dorme poco. Non che non si sapesse, certo, eppure va sempre ribadito sia mai che qualche incauto tenti la strada della leggerezza alla ma che sarà mai.

Con questa lugubre fiaba della buonanotte Matheson punta a raccontare ben altro oltre alla conturbante storia di un poveretto che, contaminato da una sostanza radioattiva, a un certo punto comincia, inesorabilmente, a rimpicciolirsi. A parte la genialità dell’idea, i temi che l’acutissimo Matheson mette sul piatto con “The Shrinking man” sono parecchi e riguardano due questioni fondamentali: il rapporto dell’uomo con se stesso e nei confronti della collettività.

“Scott pensò all’assicurazione sulla vita, che aveva avuto intenzione di fare. Rientrava nei suoi progetti, quando si erano trasferiti all’Est. Prima il lavoro alle dipendenze del fratello, poi la richiesta di un prestito governativo con la speranza di diventare socio nell’impresa di Marty. Avrebbe avuto l’assicurazione sulla vita, l’assistenza medica, un conto in banca, una macchina decente, bei vestiti, finalmente una casa. Un recinto di sicurezza e di solidità attorno a sé e ai suoi. E ora gli capitava questo guaio, che buttava all’aria tutti i piani, e minacciava di annientarli.”

Scott Carey rappresenta da una parte il tipico self made man americano del boom post-bellico, il wasp duro e puro, il maschio-etero-cis per il quale nulla conta a parte le… dimensioni (della casa, della macchina, del portafogli, del conto in banca e sì, anche di quello). Per far fortuna e ottenere l’agognato upgrade sociale Carey raccoglie baracca e burattini, moglie e figlioletta e si trasferisce “all’Est”, per impiegarsi nella ditta del fratello il quale, apparentemente già arrivato, promette guadagni consistenti e una vita che dovrebbe infine corrispondere all’immaginario collettivo del momento. Peccato che, giusto qualche settimana più tardi, durante una gita in barca Carey venga investito da un’onda anomala pregna di sostanze tossiche che in qualche modo alterano il suo codice genetico.

Scott Carey però è anche un survivor. Reduce dalla guerra – contesto che esplicitamente viene solo accennato ma che è ben presente in tutto il sottotesto – è un individuo che di fatto riesce a re-inserirsi nella società civile soltanto a prezzo del tormento: l’adeguamento a un canone imposto (che alla fine per Matheson è auto-imposto, e il punto sta tutto qui) gli procura un disagio profondo precedente alla “trasformazione”, che viene poi da essa esacerbato, nella continua tensione tra il desiderio spasmodico di tornare al presente e la feroce consapevolezza che quel presente altro non rappresenta se non un passato che il protagonista, per quanti sforzi faccia, non sarà in grado di recuperare. Schiacciato tra il senso di colpa del sopravvissuto, l’incapacità di affrontarlo, il bagaglio culturale di valori e stili di vita che si fanno, più che àncore di salvezza, zaino di sassi a pesar sulla schiena (pietre da cui, ci sussurra Matheson, non sarebbe nemmeno così impossibile liberarsi) il protagonista affronta la realtà del vivere quotidiano armato di strumenti spuntati, inutili allo scopo.

Di tutto questo sono un esempio le difficoltà nei rapporti interpersonali (per esempio con i medici, branco di imbecilli che secondo Carey non si sforzano a sufficienza per comprendere la natura del male che lo affligge, o col fratello – che, diciamolo, si rivela non certo un campione di intelligenza né di altruismo – verso cui occorre mostrarsi in ogni modo deferenti) oppure nella relazione con la moglie “Lou” all’interno di una dinamica matrimoniale in cui i ruoli, spartiti a dovere sino al momento della “contaminazione”, successivamente al fattaccio si trovano a ribaltarsi tragi(comi)camente con un uomo maturo che via via acquista la statura e la voce prima di un trentenne, poi di un boy scout in età di brufoli e infine di un pupazzetto relegato in una casa di bambole acquistata al Toy’s Center e con una donna che deve di necessità dismettere il ruolo di massaia-consorte e vestire i panni di colei che avrà il compito di tirare avanti la casa, la figlia e il conto in banca (spoiler: non ci riuscirà). Matheson dedica spazio, non tanto per la quantità di pagine ma per l’intensità di alcune scene, al rapporto di Carey con la figlioletta, descrivendo in maniera davvero illuminata il meccanismo affettivo-educativo tipico del tempo, basato non su amorevolezza sincera, empatia e contatto fisico ma su un rapporto che si nutre di autoritarismo, rigore, estraneità e che una volta cominciata la “trasformazione” comincia a scricchiolare nella rivelazione del re nudo che perde l’autorevolezza nei riguardi della figlia per il semplice fatto che essa si basava soltanto sulle “dimensioni” intimidatorie della figura paterna.

“Scott si trasferì nella casa giocattolo, ma i mobili non erano progettati per essere comodi, perché alle bambole la comodità non serve.”

A causa del processo di rimpicciolimento Scott Carey si trova ad affrontare due aspetti del quotidiano che nell’epica americana dell’uomo padrone del proprio destino costituivano un tabù: il dover dipendere dagli altri in quanto portatori di handicap e il modo in cui gli adulti interpreta(vano) il microcosmo familiare e il rapporto con i bambini.

” – È per il tuo bene.

Ormai usava quella frase in ogni occasione. La pronunciava con un tono disperatamente paziente, come se non trovasse niente di meglio da dire.”

A parte Lou, che si trasforma da moglie amorevole, devota e francamente asessuata a madre premurosa – e infastidita – a mano a mano che il marito rimpicciolisce, è in alcuni episodi magistrali che Matheson rende esplicita questa interpretazione del reale: quello in cui un Carey, alto poco più di un liceale e rimasto in panne con l’automobile, chiede aiuto a un passante da cui riceve delle molestie e quello in cui, ancora più piccolo di statura, viene bullizzato da un gruppo di teenagers.

Si è parlato di “The shrinking man” come di un libro che, in forma di metafora, critica aspramente il ruolo del maschio americano nel secondo dopoguerra; non mi pare tuttavia che le figure femminili ne escano viceversa al meglio: incapaci di adattarsi ai tempi che cambiano, ancorate alla ricerca di un benessere materiale che, come si vede, alla fin fine non garantisce una serenità duratura e a dei cliché prebellici che vengono utilizzati come parametro di riferimento per la costruzione di un presente che, di fatto, è irrecuperabile. In questo senso “Tre millimetri al giorno” è piuttosto una profetica critica feroce a tutto il sistema-famiglia e a quella struttura economico-sociale che, come abbiamo avuto modo di accorgerci negli ultimi, recenti momenti della storia americana, ha prodotto il collasso della stessa.

In questo senso “Tre millimetri al giorno” porta con sé i segni del tempo, in maniera specifica nella simbologia del maschio che sublima la propria esistenza attraverso la lotta: qui rappresentata dal ragno velenoso che Carey si trova a dover affrontare, chiuso nel seminterrato di casa dal quale ormai, date le dimensioni microscopiche, è impossibile fuggire. Come il più tipico supereroe americano, Scott Carey combatte contro l’alieno: peccato che l’alieno non sia altro che un insignificante e innocuo insetto e che il motivo del combattere sia conseguenza di un errore umano per quanto, probabilmente, frutto in certa misura anche del caso.

Note: non possedevo “The Shrinking man” sicché l’ho acquistato nella nuova edizione Oscar Fantastica di Mondadori con la traduzione di Eladia Rossetto. Si rivela un bell’oggetto nelle dimensioni e nella carta della sovraccoperta. L’illustrazione di copertina è di Andrea Cavallini (aka Dr. Bestia) e possiede un gusto retrò evocativo e affascinante. A livello di editing, qualche controllo in più sui refusi non avrebbe guastato.