“Ritorno dall’universo”, di Stanisław Lem (trad. Pier Francesco Poli)

“(…) gli argomenti della ragione sono impotenti di fronte alle abitudini dominanti.”

“Orfeo andò a cercare Euridice nell’Ade. Otello per amore uccise. La tragicità di Romeo e Giulietta… oggi non esistono più tragedie. Non ne esiste neanche la possibilità. Abbiamo eliminato l’inferno delle passioni, ma nello stesso momento ci siamo accorti che anche il cielo aveva cessato di esistere. Ora tutto è tiepido, Bregg.”

Di Lem (Leopoli 1921 – Cracovia 2006) si celebra quest’anno il centenario della nascita e Sellerio, che già ha a catalogo “Solaris” e “L’invincibile”, per l’occasione propone il romanzo “Ritorno dall’universo”.

Questo classico della fantascienza, scritto nel 1960 e ora presentato in nuova traduzione dal polacco, racconta il ritorno a casa dell’astronauta Hal Bregg, appena rientrato da una missione interstellare: dieci anni a bordo che ne significano centoventisette di tempo terrestre.

Come si può immaginare, il rimpatrio non sarà così facile perché Bregg si scopre alieno a casa propria, sia per causa dell’incredibile sviluppo tecnologico sopraggiunto durante l’assenza (che comprende anche una profonda mutazione del linguaggio, diventato quasi incomprensibile a livello semantico) sia perché l’unico compito degli esseri umani è, a quanto sembra, vivere una vita più comoda, piena e divertente possibile mentre tocca ai robot lavorare, produrre, servire: attività rispetto alle quali gli esseri umani non hanno contezza, limitandosi a un blando ruolo di supervisione.

“Mi fermai, respirando a fatica, vicino alla piscina, stetti sul bordo di cemento e vidi il riflesso delle stelle. Non avevo bisogno di stelle. Ero stato un pazzo, un folle, quando avevo lottato per prender parte alla spedizione, quando mi ero lasciato ridurre a un sacco che schizzava sangue (…), a che mi era servito, perché, perché non sapevo he si deve essere uomini comuni, i più comuni possibile, perché altrimenti è impossibile vivere e neanche vale la pena.”

“Ritorno dall’universo” affonda le radici nell’epica del νόστος omerico; un non a caso su tutti, “Prometeo” e “Ulisse”, le due navicelle su cui Bregg era di equipaggio. Se il riferimento al viaggio di Odisseo viene abbastanza intuitivo, per il ritorno di Prometeo dobbiamo rifarci a una mitologia ancora più antica all’interno della quale il titano, benevolo verso gli uomini, consegna loro il fuoco, il simbolo del progresso “illuministico” che spinge l’umanità all’affrancamento dalla superstizione e che con Bregg assume le forme di una “verità rivelata” scomoda da affrontare; per questo, Prometeo subirà l’ira e la punizione di Zeus, che consiste non nella morte ma nel supplizio fisico eterno e cosciente.

” – Lo sai perché non hanno detto niente del nostro arrivo?

– Qualcosa nel reale mi sembra ci sia stato. Non l’ho visto. Ma me l’ha detto qualcuno.

– Sì, ma moriresti dal ridere se tu lo vedessi. Ieri, nelle prime ore del mattino, è rientrata sulla Terra un’équipe di studiosi dello spazio extraplanetario. I suoi membri stanno bene. Si è cominciato a elaborare i risultati scientifici della spedizione. Fine, punto e basta. “

Lem, di fatto, costruisce un romanzo per episodi all’interno del quale affronta il tema del ritorno a casa del reduce di guerra – condizione che egli stesso ha ben sperimentato, in pari con quella dell’esule. Il senso di spaesamento al momento dell’arrivo viene rappresentato da Lem con la stazione ferroviaria, Babele di luci, scale, ascensori, colori insostenibili per la loro cacofonia. Le difficoltà del re-inserimento sociale sono dipinte raccontando alcuni momenti di tentato divertimento (bar, festa, “reale”), all’interno delle quali le percezioni del protagonista spaziano dalla claustrofobia al crescente senso di colpa nei riguardi della propria identità di sopravvissuto. Suoni e rumori scatenano potentissimi flashback nel ricordo ossessivo dello spazio e delle vicende che hanno portato alla morte dei compagni, un continuo ripercorrere passo dopo passo gli avvenimenti nella speranza-paradosso di riuscire a definirsi colpevole della tragedia. E infine le difficoltà – sublimate nel processo di “betrizzazione” (di cui qui non si può anticipar nulla) – nelle relazioni sentimentali, con la conseguente esplosione di momenti di violenza verso gli altri e verso se stesso a cui fa seguito la ricerca di situazioni di pericolo estremo che in qualche modo tocchino nuovamente le corde intime, sovraccaricate dagli anni in missione.

“E solo per constatare che quella lava si consolida in quelle grandi, maledette vesciche, abbiamo vomitato per dieci anni e siamo tornati qui, per diventare oggetto di ludibrio, mostri da museo delle cere; mi vuoi dire per che diavolo di motivo siamo finiti lassù? A che ci è servito?…”

Il fatto che lo scrittore ambienti nel futuro il νόστος del ritorno dimostra come la letteratura sia composta da due tipi di autori: chi la sa fare e chi no e chi anche parlando di se stesso riesce a parlare agli altri – e chi no. Lem non ha la pretesa di un intento didascalico né documentaristico e questa scelta, di per sé, è un merito: perché da una parte conferma le infinite possibilità narrative della fantascienza che, se scritta con contezza, diventa strumento attraverso cui raccontare non tanto il futuribile quanto il presente e le sue trasformazioni, e dall’altra chiarisce che di alcuni temi occorre parlare sempre, in qualsiasi modo possibile, data la vastità della loro portata.

Lo spazio profondo del cosmo assunto a teatro di guerra non è solo una metafora ma proprio una traslitterazione, una scelta consapevole data dalla profonda conoscenza di Lem della materia fantascientifica. Attraverso questo sistema-racconto, che per l’autore non è espediente ma strumento unico e indispensabile, Lem ha modo – come forse nessun altro è più riuscito a fare – di portare all’attenzione di un pubblico trasversale due questioni: l’assoluta estraneità della società civile nei riguardi della guerra trascorsa e l’assoluto disinteresse della pubblica amministrazione nei riguardi dei reduci.

“La nostra casetta era una delle ultime. Un piccolo giardino, con cespugli resi grigiastri dalle stratificazioni saline, portava evidenti le tracce di un recente fortunale. Le onde avevano evidentemente raggiunto il basso recinto: qua e là erano sparse delle conchiglie. “

Se volessimo tentare un riferimento cross-mediale, potremmo pensare – oltre che all’iconico episodio di Apollo13 in cui gli astronauti Lowell, Mattingly e Haise, in collegamento con la Terra, restano all’oscuro del fatto che nessuna rete televisiva si è offerta di trasmettere la diretta – alla serie noir “Quarry” (2016), trasposizione delle opere delle scrittore Max Allan Collins (Iowa, 1948) basate sul νόστος del veterano Mac Conway, reduce dal Vietnam. Serie che a “Ritorno dall’universo” riporta anche per le atmosfere; prova in più della genialità di Lem che, a dispetto della propria vita appartata e del momento storico in cui scrive, certo non favorevole a scambi e condivisione di informazioni, riesce a calare il ritorno di Hal Bregg all’interno di una dimensione dai precisissimi tratti Bay Area: crepuscolare e notturna, fatta di luci al neon e iper-divertimento che via via lasciano il posto a un paesaggio californiano di ville scalcinate e piscine di acqua verde, silenzi di insetti e voce dell’Oceano, in una discesa agli inferi conradiana che non può non rimandarci alla giungla di Kurtz.

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