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Lucian Freud, “Girl in Bed”, 1952 [Credits: Wikipedia] |
Tutto ha origine dall’articolo sulla Duchessa di Windsor che il Sunday Times commissionò alla Blackwood nel 1980. Assegnazione non casuale visto che questa dinamica, preparatissima e prolifica scrittrice – una delle firme di punta del ST – altra non era se non, all’anagrafe – Lady Caroline Maureen Hamilton-Temple-Blackwood (Londra 1931, NewYork 1996). Di famiglia anglo-irlandese, la primogenita del Marchese di Duffen & Ava e della di lui consorte Maureen Guiness (sì, proprio i magnati della brewery) dopo il debutto in società e il trasferimento a New York si dedica con passione a talento all’attività giornalistica, divenendo in pochi anni abile columnist e, in aggiunta, chiacchierata socialitè. Una vita tumultuosa, quella della Blackwood, tra frequentazioni di alta aristocrazia, eccessi e turbolente avventure sentimentali culminate in tre matrimoni dall’esito infausto; esperienze che per altro hanno fatto da sfondo a una serie di opere narrativo-autobiografiche tra cui “Mrs. Webster” e “The Stepdaughter”, caratterizzate da un’ironia pungente attraverso cui l’autrice denuncia e demolisce le realtà più drammatiche da lei sperimentate – a cominciare dal mondo ipocrita e corrotto della nobiltà britannica.
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La foto, scattata nel 1949, ritrae Lady Caroline in compagnia del primo marito, il pittore Lucian Freud, durante la luna di miele. Il pittore immortalò il fascino e la bellezza di Caroline in numerose tele e dopo il divorzio tentò il suicidio. In seconde nozze Blackwood sposò il pianista Israel Citkowitz, molto più anziano di lei, da cui ebbe due figlie, e poi una terza che lui crebbe come sua ma che in realtà era frutto di una relazione extraconiugale della moglie. Infine Lady Caroline si sposò con il poeta Robert Lowell, che nel 1977 morì di infarto per le strade di New York, chiuso in un tassì mentre tornava dalla prima moglie, abbracciando il ritratto di Freud “Girl in Bed”. [Credits: The Telegraph] |
L’articolo su Wallis Simpson avrebbe dovuto comprendere oltre all’intervista esclusiva alla Duchessa anche un servizio fotografico a firma Lord Snowdon, ex marito della Principessa Magareth, ma né l’intervista né il servizio fotografico furono mai realizzati per il semplice fatto che né Caroline né Snowdon – malgrado l’abilità professionale e le conoscenze personali – riuscirono ad avvicinarsi all’ormai anziana e malata Wallis, segregata a Parigi, nella sua casa-museo sul Bois de Boulogne e tenuta in ostaggio dal terribile avvocato di famiglia, “Maitre” Suzanne Blum, che alla morte del principe Edoardo aveva ottenuto la tutela legale della Duchessa e del suo patrimonio.
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Lady Caroline, ritratto. Photo by Walker Evans (St.Louis 1903, New Haven 1975) [Credits: Codice Edizioni] |
Ciò che venne dato alle stampe invece – e si dovette attendere, per timore di azioni legali, non tanto la morte di Wallis (1986) ma soprattutto il decesso della stessa Blum (nel 1994, all’età di 95 anni) – fu il reportage intero che comprende l’imponente attività di ricerca della Blackwood, fra raccolta di documentazione e interviste sul campo; materiale che testimonia l’impegno profuso dalla giornalista nel tentativo di avvicinarsi a una Duchessa di Windsor ormai in punto di morte, sottoposta a cure mediche prossime all’accanimento terapeutico, allontanata a forza dalle poche amicizie rimaste e pericolosamente vicina alla bancarotta.
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Il terribile avvocato Suzanne Blum [Credits: DailyMail] |
Ne seguì una brillante carriera internazionale costellata d numerosi successi professionali (tra i sui clienti: major cinematografiche e attori di fama hollywoodiana, da Chaplin a Rita Hayworth) e infine l’incontro con la famiglia reale britannica, di cui da sempre subiva il fascino. Ottimo avvocato, spietata con avversari e colleghi, irascibile e collerica, ossessionata dal potere, dal denaro e dalla chirurgia estetica, la Blum divenne dopo la morte di Edoardo l’unico procuratore legale della famiglia reale e dal quel momento cominciò il suo costante e sistematico impegno di appropriarsi, in maniera sempre più maniacale e ossessiva, della vita di Wallis Simpson – o meglio di quello che ne rimaneva (“Last of the Duchess”, appunto, recita il titolo originale del reportage).
“Era, quello di Suzanne Blum, un morboso e insieme straziante fenomeno d transfert possessivo, la divinizzazione di un’icona più che la descrizione reale di una persona, e insieme la sua idealizzazione nel nome di un puritanismo con cui l’avvocato investiva la sua assistita: <>. Come osserverà la Blackwood, bastava osservare le foto mentre barcollavano da un night club all’altro: Parigi, Palm Beach, New York”
Stenio Solinas per “Il Giornale” (28 agosto 2015)
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[Credits: NYPost] |
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[Credits: NYPost] |
Buona lettura