Nessun protagonista principale, nessun narratore esterno onnisciente, ma una serie di comprimari e di punti di vista interni multipli che danno voce a una coralità composita di arte e teatro.
Il parallelo con il poema omerico, fatte le debite, ovvie e sostanziali differenze, evidenzia la similitudine di struttura (canti / interruzione di sezione) e una certa consonanza nelle modalità di fruizione del testo, a tematiche e sottotematiche stratificate.
La struttura ad interruzione di sezione, che porta a frequenti cambi di scena – che aumentano con rapidità esponenziale a mano a mano che la narrazione si avvicina al climax della conclusione, consente la focalizzazione sui diversi filoni narrativi che compongono l’opera, collegati l’uno all’altro da uno, o più personaggi interni alle vicende:
- le indagini a tutto campo dell’ispettore di Polizia Carmine Bonocore, impegnato, insieme ai colleghi e ai superiori, nella lotta all’Organizzazione ma anche nella risoluzione di quotidiani (ma non troppo) casi di cronaca, tra cui la vicenda inquietante della sparizione di Attilio De Rosa, maestro di scuola, vittima a quanto pare di un sequestro di matrice satanica e la cruenta esecuzione di due manovali extracomunitari collegata molto probabilmente a un regolamento di conti avvenuto nell’orribile mondo del traffico illegale di organi e nella tratta degli schiavi-bambini
- le vicende dell’Organizzazione stessa, guidata da Don Alvaro Spasiano, sovrano iracondo a cui fa capo tutta una serie di protagonisti di minore o maggiore rilievo, dalla manovalanza Chiattillo / L’Afgano a Donna Lisetta Gargiulo la cui figura, in questo ultimo volume, diviene economicamente utile per l’introduzione del filone “iberico” della narrazione, anche qui composta da più comprimari a far da specchio alla realtà italiana:
- le forze di Polizia locali, esemplificate da Francisca Vidal de La Cuesta, Evaristo Melina e Antonia “Ana” Gil – che a sua volta, attraverso il piccolo Manuelito, ripropone il tema dell’immigrazione illegale e del commercio di organi e di bambini – presentano al pubblico, fedeli contrappunti alla realtà italiana, i maggiori esponenti della malavita peninsulare: Aingeru Alarte e Riccardo Restepo
- e poi, a far da cornice, tutta quella serie di vicende secondarie, un po’ comiche, un po’ tragiche, un po’ grottesche, a volte drammatiche, che hanno il merito di offrire una caratterizzazione vivida dei personaggi che completa, definendoli, spessori e profili: Carmine Bonocore alle prese con tragiche crisi di coppia (rigurgito extraconiugale incluso) fomentate da un primo figlio infante che di dormire e di star zitto per due ore di seguito neanche se ne parla e mitigate da una serie di sedute psichiatriche che ci fanno all’improvviso compassionevoli, data la caratura del paziente in esame, verso tutti i terapeuti del mondo, nessuno escluso; Domenico Ferrante, il libraio antiquario, chino a spolverare libri e dolori di affetti perduti tra rimorsi e rimpianti; Vittorio Camporesi, giornalista di talento vittima dalla cocaina e dal mal di vivere; il nobile e ricco notaio Federico Hemmerlink che, chiuso nel suo palazzo dal passato glorioso e dal presente vetusto, tra broccati e marmi di pregio si diletta nella sottile arte dell’occulto, e forse non solo in quella. E, infine, la nostra bellissima Elena Alliuto, che tanta parte ha avuto, e ha tutt’ora, in più di una delle vicende narrate.
Il mondo dell’Iliade Napoletana non si limita soltanto all’opera di fantasia. E’ una narrazione profondamente radicata nel territorio e nel tempo e quindi, proprio per questo, si trasforma in un certo qual modo in un’opera didattica. l’Iliade Napoletana, come accade per ogni opera letteraria correttamente contestualizzata, non è solo narrazione di fantasia: è finestra aperta su quelle oggettive e reali sostanzialità spazio-temporali che la strutturano dall’interno (ne avevamo parlato anche con “Re di Bastoni, in piedi”, altro incredibile esempio di “letteratura partenopea” di recentissima pubblicazione e ottimo successo). La tradizione culinaria e la cucina regionale, la lingua e l’espressione dialettale, la ritualità della religione popolare che scivola spesso nella superstizione e nel misticismo e, ahimè, anche la malavita nelle sue più scure e declinate caratteristiche, identificano, senza errore, una marcata regionalità, tutta italiana, che lungi dallo sminuire il testo, lo esalta nelle sue peculiarità letterarie.