Con un coup de théâtre affascinante e intenso – e diciamocelo, sufficientemente spiazzante per tutti i suoi lettori, da qualche tempo un po’ critici rispetto alle sue ultime opere, giudicate un po’ fiacche – SKing mischia le carte e illumina non soltanto i suoi fans ma anche chi, suo fan, non lo è mai stato, con ciò che prima d’ora gli era rimasto intentato: il romanzo storico.
Una delle poche volte forse in cui un autore di chiara fama, in mancanza di idee fresche e dirompenti “di genere”, riesuma e rispolvera dal cassetto un manoscritto dimenticato da anni e ci fa pure centro.
Il progetto difatti, secondo quanto lo stesso King afferma nelle recenti interviste, risale al 1973 ma vuoi per la materia ancora troppo fresca per essere affrontata con il necessario distacco, vuoi per gli impegni lavorativi pressanti che avrebbero inficiato la poderosa impalcatura di ricerca bibliografica e iconografica che indubbiamente sta alla base dell’opera e la rende quella che è, lo scrittore abbandonò l’impresa chiudendo nella credenza idee e manoscritto. Per poi riprendere tutto in mano, dopo più di vent’anni.
King scommette su se stesso e si reinventa: puntando esplicitamente su un’audience più vasta, in parte diversa dallo zoccolo duro dei fans che lo sostengono da più di 20 anni, attraverso la scelta di un genere mai affrontato prima si offre a un pubblico sì diversificato, ma che si identifica nelle sue peculiarità proprio attraverso l’opera, un “romanzo americano” che contiene in sé la formula del risultato vincente: 1. la thriller-fiction, 2. contestualizzata in un passato storicamente determinato, non troppo lontano, 3. ben raccontato da chi scrive (“parla di ciò che conosci e sarà un successo”), 4. ben presente nella memoria di chi legge (idem come sopra).
Tutto è escamotage per tutto, economicamente utile alla struttura del romanzo che in questo modo si costruisce su se stessa e attraverso se stessa, e si compone dall’interno:
-
l’analisi storica – ci si confronta niente meno che con l’assassinio di JFKennedy – è nutrita da una ricostruzione minuziosamente approfondita di tutto quanto occorre conoscere per misurarsi con un simile evento, dai movimenti di Lee H Oswald e famiglia nel corso degli anni e dei mesi precedenti alla tragedia, al ruolo dell’FBI, alla situazione dell’economia interna e della politica internazionale, e si appoggia a una:
-
contestualizzazione supportata da una conoscenza particolareggiata, mai solo “di genere”, dell’America degli anni ‘50 e ’60; territorio privilegiato e approfondito più volte da un King che ha dalla sua l’appartenenza anagrafica all’epoca di cui sopra e che quindi ha il merito di creare un’ambientazione scevra di qualsiasi tipo di idealizzazione. Ambientazione all’interno della quale a sua volta viene inserita:
-
la vicenda chiaramente fittizia di Jake Epping che introduce la parte più marcatamente “Kinghiana” del romanzo: il fascino per la fantascienza (con esplicito omaggio a Jack Finney di “Indietro nel tempo”), per l’horror e per l’ignoto. Evidenti, perché disseminate ad arte lungo tutta l’opera, le più chiare impronte tipiche dello scrittore: il fascino per le atmosfere lugubri (il suono metallico di una catena di ferro che delimita un campo all’apparenza vuoto e incolto, che ondeggia nel vento torrido di un’estate di pianura; l’agorafobia che prende protagonista e lettore di fronte all’edificio malefico, buchi di occhi vuoti al posto delle finestre, da cui LHOswald premerà il grilletto; il buio di muffa e ossa nel cavo di una ciminiera adagiata a terra, crollata sotto il peso degli anni e dell’orribile) e l’horror più classico di sangue e violenza.
E’ programmatica la dichiarazione anti-ucronica di King, che questa volta si chiama violentemente, a nostro parere, fuori dalla questione. J Epping si affaccia al mondo dell’ “e se”. Ma giusto per un capitolo. Lo scrittore non si sofferma su nulla in più del necessario: pochi tratti per il paesaggio, qualche pennellata per identificare un gruppo di personaggi minori, un paio di pagine per l’ambientazione esterna e interna.
Come a dirci, un po’ per gioco un po’ sul serio, cantilenando, che, per questa volta, ahinoi un universo parallelo non ci sarà – malgrado la sua indiscussa bravura nella fiction di genere (abilità che in questo modo ribadisce chiaramente, attraverso il togliere piuttosto che il mettere) e le aspettative del lettore. Facciamocene una ragione.
Ragione che, comunque, c’è. Per quanto riguarda l’omicidio Kennedy King appoggia dichiaratamente l’ipotesi del gesto solitario, negando quindi tutte le tesi, più o meno fantascientifiche, relative ai sospetti complotti tesi da CIA, FBI, servizi segreti, ufo da Marte, per l’eliminazione del Presidente.
Si pensi allo scritto di Normal Mailer “Il racconto di Oswald” che King, in postfazione, indica giusto come uno dei testi su cui maggiormente ha lavorato nel corso della stesura dell’opera:
“Se una tale non-entità ha distrutto il leader della più potente nazione della Terra – chiosa Mailer – allora un mondo di sproporzioni ci avviluppa, e viviamo in un universo assurdo”.
Il segreto, per King, è ancora una volta l’orrore che ci circonda ma – anche qui – King distrugge con un improvviso e inatteso colpo di coda le aspettative del lettore: non è più l’orrore, come avviene invece nei suoi romanzi “di genere”, a entrare prepotentemente, ed inspiegabilmente nella realtà del quotidiano. E’ la realtà stessa a esserne permeata, in ogni suo aspetto.
Ecco perché King ci fa molta più paura, adesso.
Ps & NB: doverosa nota di merito per la traduzione, a opera di Wu Ming 1, che tanta parte ha, a nostro parere, nel successo dell’opera.