"I Middlestein", di Jami Attemberg

Jami Attemberg affronta il danno della sovra-alimentazione conscia del proprio talento narrativo forte di una intensa esperienza redazionale.
Nata nel 1971, laureata alla John Hopkins University, ha scritto di “sex, technology, design, books,television, and urban life” per il New York Times e il Wall Street Journal, solo per citare le testate maggiori con cui ha collaborato; è poi autrice di quattro romanzi nei quali ha indagato temi di mai facile approccio quali i rapporti coniugali (“The Melting Season”) e le relazioni familiari complesse, anche all’interno di famiglie disfunzionali e disagiate (“The Kept Men”). “The Middlestein”, pubblicato nel 2012 e tradotto in nove lingue, è stato finalista del L.A. Times Book Prize.

E’ sufficiente qualche dato per comprendere cosa significhi parlare di Eating Disorders negli Stati Uniti. Si considera che in America la popolazione femminile sia interessata dal disturbo anoressico con un rapporto da 0.5 a 3.7%; tra l’1.1 e il 4.2% per il disagio bulimico. Negli USA, i disordini alimentari costituiscono la prima causa di morte per malattia mentale e colpiscono, trasversalmente e senza discriminazione, tutte le etnie e le classi sociali – e pare entrambi i sessi, visto che per esempio il 30% dei -teens vittime dell’anoressia è costituito da maschi*.
D’altra parte l’attenzione verso la provenienza degli ingredienti e verso le modalità del loro consumo è diventata argomento di attualità e oggetto del più sfrenato show-business in tutti quei Paesi in cui l’atto del nutrirsi ha smesso i panni della necessità primaria per trasformarsi in un fenomeno di cultura e costume. Tanto che anche l’Estremo Oriente, terra in cui il cibo viene considerato da centinaia di anni come esperienza non solo fisica ma anche spirituale, comincia a registrare un incremento delle patologie ossessivo-compulsive legate al meccanismo della nutrizione.
In Italia, per esempio, pare soffrire di ortoressia nervosa almeno il 15% di quei 3 milioni di individui soggetti a disturbi del comportamento alimentare**.

Effetto dirompente, un cerino a dar fuoco alla polveriera, se la questione di cui sopra viene denunciata attraverso un’opera di finzione e addirittura presa a pretesto per raccontare (diciamolo pure, si tratta proprio di lavare i panni sporchi in pubblico) le vicende, i drammi, le pruderie e le ossessioni di una famiglia della middle class americana, residente in uno dei più tipici garden suburbs della periferia snob di Chicago. E non è tutto: sacrableu, si tratta pure di un clan di religione devotamente ebraica.

Jami Attenberg costruisce un’opera dal fascino coinvolgente, fatta com’è di ironia e disincanto (l’unico modo in cui si poteva affrontare una trama così complessa da gestire) ma anche di lucida profondità e acuta analisi introspettiva.
Da una parte abbiamo la matriarca della famiglia, Edie Middlestein, brillante avvocato, sessant’anni e centocinquanta chili di grasso: diabete scompensato, bypass, problemi cardiaci e nessuna voglia di salvarsi la vita. Figlia di genitori migranti (leggenda vuole che il nonno venne in America per terra e poi per mare, succhiando per mesi solo la buccia di una patata), mandata all’ingrasso dalla madre fin da bambina perché:

“Il cibo era fatto d’amore, e l’amore era fatto di cibo, e se riusciva a far smettere di piangere un bambino, allora non c’era niente di sbagliato” (kindle, pos.80, trad. di Rosanella Volponi)


Dall’altra, Richard Middlestein, il di lei consorte: farmacista, pilastro della comunità, fondatore della sinagoga di quartiere; marito devoto che un bel giorno, inaspettatamente e dopo quasi quarant’anni di matrimonio, stanco di badare a una moglie malata – a suo giudizio – “solo” di una inguaribile forma di egoistico menefreghismo, chiede il divorzio per rifarsi una vita. Con tempismo perfetto per altro, perché siamo alla vigilia di un intervento vascolare dall’esito incerto a cui Edie deve di necessità sottoporsi e mancano poche settimane al pantagruelico b’nei mitzvah dei nipoti organizzato dalla nuora. Si perché in mezzo stanno pure i due figli della coppia: Robin, trentenne single, introversa, tendenze anaffettive e lieve dipendenza da alcool incluse, e Benny, affermato professionista, un debole per la marijuana, con la moglie Rachelle e i due figli gemelli, gli adolescenti Emily e Josh, concepiti per sbaglio in una toilette, ai tempi del college.
La deflagrazione è inevitabile. Le parti dell’una o dell’altro coniuge sono prese con impeto, la famiglia si scinde, il fiume in piena dello stress supera il livello di guardia e poi tracima in un crescendo di eventi sempre meno controllabili.

Jami Attemberg guarda ai suoi personaggi, creature del suo io più profondo, con tenerezza ed estrema compassione. Li asseconda, accudendoli come una madre amorevole. Ce li fa apprezzare tutti, nessuno escluso, descrivendone con chirurgica e asettica precisione presa in prestito dall’esperienza giornalistica, e attraverso lo strumento narrativo della prospettiva multipla, le manie, i tic, le nevrosi, le contraddizioni (le loro, e le nostre). Senza mai cedere alla facilità stereotipata di un humor da macchietta, senza mai scivolare nella pesantezza dello psicodramma sociale ma utilizzando con cura il meccanismo della convergenza per contrasto che annulla, e ridicolizza, il radicalismodelle parti.

“Le aringhe, i bagels, il salmone affumicato, i vari assortimenti di carne di tipo talvolta incerto. Sottaceti dl color verde brillante, gonfi di aceto e di sale. Le paste alla ciliegia ricoperte da ghirigori di una glassa per metà sciolta” (256) 

“Lei si assicurava che mangiassero, Nessuno lasciava casa sua affamato (…). Mangiava tutto quello che mangiavano gli uomini. Loro fumavano, lei mangiava. Loro bevevano caffè, lei beveva CocaCola. La notte lei mangiava gli avanzi. (…) Sapeva che amava mangiare, che il suo cuore e la sua anima si sentivano pieni quando si sentiva sazia” (263-272)
(Edie)
 

“La sua missione nella vita era mantenere la famiglia sana e felice. (…) Mangiavano salmone, rosa brillante, insipido, e Rachelle teneva d’occhio tutti mentre allungavano la mano per aggiungere un pizzico di sale, qualsiasi cosa per salvare questo pasto, e sussurrava *Non troppo*. Riso integrale. *Bevete più acqua* intimò. Fragole fuori stagione e biscotti senza zucchero che ti toglievano il fiato. Nessuno si sarebbe trastullato col cibo sotto il suo controllo” (613)
(Rachelle)
 

“Pensava che essere un membro che sovvenziona la sua comunità, essere un buon ebreo, sarebbe stato sufficiente a fare prosperare i suoi affari” (1811)
“Lui era totalmente dentro gli schemi. (Cosa c’era di sbagliato negli schemi? Lui aveva agito così per tutta la sua vita)” (2374)
(Richard)
 

“Tirò un’altra boccata dal suo spinello e allora si rese conto che era fatto” (1931)
(Benny)
 

“Qualsiasi cosa era migliore di ciò che veniva servito a casa sua ultimamente, che era soprattutto (davvero, soltanto) fatto di verdure, qualche volta crude, qualche volta al vapore, qualche volta, se erano proprio fortunati, saltate in padella con appena una goccia d’olio, e tutto quel tofu disgustoso che in bocca si sclioglieva come i fiocchi di latte (fiocchi di latte a colazione: uno schifo anche quello), tutti questi pasti designati a mantenerli snelli e in forma e a innalzare il loro livello di salute, e a stare alla larga dal germe del diabete, come se il diabete fosse qualcosa che puoi prendere invece che procurartelo mangiando quintali di cibo spazzatura per anni e anni” (2138)
(Emily)


Buona lettura 🙂

*fonte: Epicentro Iss
**fonte: Corriere della Sera

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