"I nuotatori", di Joaquin Perez Azaustre

Anche Peter Cameron – per rifarci soltanto a materiale recente – ci aveva messo in guardia, con il suo consueto aplomb da gentleman britannico:

“Adoro nuotare. Da me c’è una piscina, ma le piscine sono sempre un po’ deprimenti” (“The Weekend”, p125)


E poi che dire dell’esordio di Giuliana Altamura nel regno del romanzo e in quello, parimenti complicato, degli specchi d’acqua artificiali di cui sopra:

“Nic è sdraiato sul bordo della piscina. Il Grand Hotel di Riva è un palazzone di vetro circondato da chilometri di terra rossa, ruderi, ulivi e poi più niente. Una distesa di auto costose lastrica il parcheggio. Al tramonto è fagocitato dal sole come un impero che va a fuoco” (“Corpi di Gloria”, p27)

“Dei bambini urlano inseguiti da signore piene di anelli tuffandosi in acqua. Due ragazze dall’altra parte della vasca gli sorridono stringendo l’asciugamano al seno” (ibid.)

“Gloria, Dave, Nic e Cristina scavalcano il cancello della villa J201. E’ notte fonda. (…) Il giardino della villa sembra un buco nero assediato dagli alieni. Nic s’inoltra seguendo le mattonelle di pietra, facendosi luce col cellulare. (…) La piscina appare dal niente, lucida, come scolpita nel ghiaccio. I ragazzi si lasciano abbagliare dai riflessi opalescenti. Cris inizia a spogliarsi.

Da lontano gli echi della discoteca sulla spiaggia invadono il buco nero pulsando nelle loro teste. Nic si siede sul bordo e guarda Cris tuffarsi, perdersi nell’acqua scura, sparire” (op. cit. p36)


Dejavù? E pare ovvio, perché sta per scendere in campo Colui che dell’acqua (naturale, artificiale, di mare, di lago, di fiume, di pozza, trasparente, paludosa, putrida, foriera di vita e messaggera di morte etc etc) se n’era fatto proprio una malattia:

“La piscina si stendeva al mio fianco, e l’acqua era così calma che una pellicola di polvere rivestiva la superficie. Scrutando nelle sue profondità fresche, sul fondo inclinato potevo scorgere una monetina, forse un pezzo da un franco sfuggito dalla tasca di un costume da bagno. Lucidata dal detergente per la piscina, brillava come un grumo d’argento distillato dalla luce della Costa Azzurra, una perla di un genere che si trova solo nelle piscine dei ricchi” (GJBallard, “SuperCannes”, p49) 

“Ero in piedi sul bordo della piscina, e scrutavo l’acqua in profondità. La luce forte del sole aveva smosso un atlante di correnti che gettavano le loro ombre sul fondo piastrellato, ma riuscivo lo stesso a vedere il profilo tremolante della moneta sotto il trampolino. (…) Lo spazio ristretto era pieno di sacchi di detergente per piscine, la polvere a base di cloro che Monsieur Anvers versava dentro l’apposito portello. Due volte al giorno quella polvere finissima si spandeva in acqua, formando una serie di onde lattiginose che scioglievano il lieve redisuo di grassi corporei sulla superficie” (op. cit. p63) 

“Fra breve il caldo sarebbe diventato insopportabile. Affacciato al balcone dell’albergo, poco dopo le otto, Kerans guardò il sole levarsi fra i fitti cespugli di gimnosperme giganti che crescevano sui tetti dei grandi magazzini abbandonati, quattrocento metri più in là, sulla sponda orientale della laguna” (“Il mondo sommerso”, incipit – Feltrinelli 2008)

Insomma, pare che l’unico modo per affrontarlo, questo fascino inquietante per la mattonella azzurra, sia cercare di domarlo o a parole o a bracciate. Ci prova anche Joaqun Perez Azaustre con un racconto surreale e claustrofobico, ancor più inquietante perché assai verosimile*, che dà forma e ripercorre con precisione chirurgica le più profonde aspirazioni e i peggiori incubi del nuotatore-da-piscina
Da una parte, il desiderio costante, pungente di dominio, una fantasia perversa di potere assoluto verso qualcosa che, costruito dall’uomo e per questo, ah, che ovvietà, incontestabilmente a lui soggetto, mantiene tuttavia in sé quella caparbietà di istinto naturale che non permette all’essere umano, padrone fittizio e meramente pro-forma del contenente, un governo se non temporaneo, zoppicante, farlocco del contenuto. Dall’altra quindi, il timore reverenziale – perché ancestrale – del nuotatore nei confronti di quel liquido misterioso e insondabile (per quanto trasparente sia) che è monito indiscutibile delle nostre origini, preistoriche e uterine e che potrebbe benissimo, con una facilità di onda anomala o respiro mozzato, riprendersi in un sol colpo tutto il magnanimamente concesso.

“Se la respirazione è buona, se il suo corpo si adatta al ritmo di bracciate e gambate, malgrado il grande sforzo entra in una specie di strana quiete. Se ne accorge soprattutto se si ferma a riposare, e se chiude gli occhi e si lascia cadere, come un peso morto trascinato verso il basso” (kindle, pos.78 – 2%) 

“Ma se in quel momento chiude anche gli occhi, e lascia che l’ossigeno inizi lentamente a indebolire il proprio effetto, l’acqua si trasforma in oscurità e non vede più l’agitarsi delle gambe degli altri nuotatori, né gli impulsi lenti né quelli rapidi, e nemmeno percepisce il rumore sordo dell’acqua; non vede e non sente nulla, eccetto quel battito contundente e marcato del suo stesso cuore, in quell’oscurità senza i segnali del mondo” (pos. 82 – 3%) 

“Alcune volte pensa addirittura che forse nuota per arrivare fino a lì e lasciarsi cadere, ascoltare il proprio corpo scuotersi ai deboli battiti del petto in quell’opacità, se chiude bene gli occhi, e poi risalire come appena nato” (pos. 85 – 3%) 

“Se la respirazione è buona e la circolazione pulsa briosa nel sangue può nuotare tutto il giorno, né veloce né lento, fino al tramonto e ancora oltre, quando si spegneranno le luci del padiglione, Jonas potrà continuare addirittura al buio: ed è in quell’istante di consapevolezza, senza dover forzare la propria resistenza, che esce dalla piscina” (pos. 131 – 4%) 

“Oggi non ce la faccio. (…) Le gambe cariche come sacchi di sabbia, e le spalle non compensano, che succederà oggi che sono gelate? E l’acqua è pesante, sempre più densa, un’acqua mercuriale, lo trascina verso il fondo dalle piastrelle di demarcazione azzurre” (pos. 783 – 25%)


Quindi, cosa succederebbe se un giorno lo specchio si ribaltasse? Cosa potrebbe capitare se il desiderio più profondo del nuotatore-da-piscina, il ritrovarsi unico e indiscusso padrone dello specchio d’acqua, la bracciata che fende solitaria quelle trasparenze profonde, mesozoiche, primordiali, illuminate dal sole, si tramutasse in una realtà concreta palpitante di essenza propria anche all’esterno, fuori, nel mondo di tutti i giorni?

“Ho sempre cercato di riflettere nelle mie foto l’estinguersi dei luoghi (…): edifici sul punto di essere demoliti, strade transennate, lavori rimasti a metà, interni di palazzi che non abita più nessuno, negozi che hanno abbassato la serranda e non hanno più riaperto. (…) Si tratterebbe di riflettere solo l’istante in cui tutte quelle realtà si spengono” (pos. 1724-28 – 55%)


E se lentamente, quasi senza averne percezione, il mondo della gente normale, da cui il nuotatore-da-piscina solitamente fugge, piano piano si modificasse? Cosa poi potrebbe accadere se il nuotatore-da-piscina, alla fine, giungesse proprio lì,

“nel luogo in cui la luce è una pulsazione buia e silenziosa, il pantano una falda di neri ossari” ? (pos. 2851 – 91%)


Buona lettura 🙂

*La realtà è il punto di partenza: conquistarla per manipolarla. L’equilibrio fra quella conquista e la sua manipolazione posteriore è la verosimiglianza. Ed è quella verosimiglianza che provoca la finzione di realismo” (pos. 1737 – 55%)

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