Potrebbe sembrare soltanto un divertissement da salotto. Ad uso ed esclusivo consumo, per altro, di lettori già avvezzi alla materia e al modus scrivendi tipico di questo genere letterario che sta a metà strada tra l’approccio analitico dello stile giornalistico e la poesia del romanzo d’invenzione.
Già, perché qui sta il punto, di che cosa parliamo quando parliamo di 1913.
Florian Illies, giornalista del quotidiano tedesco Die Zeit e storico dell’arte (appunto, vedi sopra), riesce nell’impresa di raccontare un anno particolare e unico della storia mondiale – quello precedente allo scoppio della prima guerra mondiale – partendo non dai fatti ma dagli individui.
Un metodo di analisi né convenzionale né nuovo (ricordiamo per esempio la “Storia confidenziale della letteratura italiana” di Giampaolo Dossena, Milano 1987-94), sempre interessante e non certo di facile gestione quanto più i personaggi si fanno tanti, famosi – chi già, chi non ancora – geograficamente itineranti e caratterialmente sfaccettati.
Sì perché Illies, dei fatti, quelli importanti, quelli che hanno fatto la Storia, non parla mai. Si possono leggere sui manuali – dice. Quello che sui manuali non puoi leggere è, invece, l’interconnessione.
Per esempio, pochi forse hanno mai dato peso alle passeggiate invernali dell’esiliato Josif Stalin negli splendidi giardini di Schonbrunn – Vienna. Escursioni digestive che il suddetto probabilmente condivideva – almeno geograficamente – con un giovane, anonimo acquarellista di strada pure lui appassionato podista viennese: Adolf Hitler. Nello stesso periodo, sempre a Vienna, Stalin e Trotzkij si stringono la mano mentre due vip del momento, Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, litigano di brutto e si lasciano – per sempre – in malo modo. Ce n’è per tutti: futuri dittatori, capi di stato, militari di professione ma anche artisti, pittori, filosofi, scrittori, socialitè. Duchamp fa il botto a New York, Proust ha da combattere le stroncature parigine al primo, monumentale volume della sua Ricerca. Schonberg viene letteralmente preso a schiaffi dal suo pubblico (le sperimentazioni musicali non sono certo per tutti); a Praga Kafka scrive e combatte le sue paranoie amorose, Mann e Rilke cercano di fare lo stesso nelle rispettive location.
Ci vorrebbe googlemaps, per tracciare tutti i sentieri, gli scarti del pensiero, la geografia degli spostamenti di questi uomini che, nel bene e nel male, hanno poi fatto la Storia.
Solo un divertimento letterario, si diceva, anche abbastanza colto e di non facile lettura? Attenzione a non farsi ingannare dall’approccio finto-divulgativo. Sì perché Illies ci strizza l’occhio e come nella fiaba di Pollicino semina briciole di pane che occorre essere abili a raccogliere. C’è qualcosa, che accomuna questa girandola di personaggi, questi labirinti praticamente inestricabili di lettere, messaggi, parole sussurrate, incontri fortuiti: un’inquietudine sottile, una febbre leggera, sottopelle, che a poco a poco, col passare dell’anno, si fa più insistente e fastidiosa. Tra le personalità più eminenti della letteratura e dell’arte (o quelli che famosi lo diventeranno poi) serpeggia un malessere tutto intimo e personale (la famosa “nevrastenia”) che si fatica ad ascrivere a una situazione con molta probabilità esterna al sé. E’ quel non stare bene da nessuna parte che spinge gli Uomini all’azione e al cambiamento ma che talvolta li rende anche ciechi di fronte all’universale, persi nell’intento di gestire la propria, dirompente, individualità. E quando l’universale si fa tempesta, allora l’importante è sì studiare il passato per trarne insegnamento ma anche essere consapevoli delle interconnessioni praticamente infinite – e soltanto intuibili – che ci circondano.
L’opera di Illies è stata accostata, in sede critica, a un’altra di recente uscita: “I sonnambuli – Comel’Europa arrivò alla Grande Guerra” di Christopher Clark – Laterza 2013.
“1914. Re, imperatori, ministri, ambasciatori, generali: chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, tormentato dagli incubi ma cieco di fronte alla realtà dell’orrore che stava per portare nel mondo”.
Recita la sinossi. Un livello di consapevolezza assai scarso, paragonabile (ahinoi) a quello odierno. I parallelismi, insomma, sono evidenti e vale la pena analizzarli. Se Clark affronta il tema col piglio autorevole del professore (di Storia moderna all’Università di Cambridge), Illies sfodera uno stile giornalistico mitigato dalla fascinazione propria del romanziere, lasciando ampio spazio alla creatività dell’Uomo, di cui viene lodato l’estro artistico, la flessibilità mentale, la resilienza.
Un’opera dal potenziale iconografico enorme, una sfida per la nuova frontiera degli enanched book.
Buona lettura 🙂