"Viaggio a Itaca", di Anita Desai – parte terza

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Per la seconda parte si veda qui

Eccoci a voi con la terza parte del libro, che porterà Sophie e il lettore a riflettere sul senso della famiglia, delle convinzioni profonde e della fede radicata nell’animo di ciascuno.

La vita di Laila è un continuo viaggio. Nata ad Alessandria d’Egitto da padre egiziano e madre francese, comincia a manifestare i primi segni di inquietudine fin da bambina: rimane fuori fino a tardi girovagando per la città, rifiuta gli studi, ha una passione viscerale per la danza e il ballo.
Le similitudini con la vita di Matteo sono evidenti. Mandata a studiare in Francia da alcuni parenti della madre, la ragazza, anziché fare amicizia con le cugine (da notare i provocatori nomi delle due: Yvette e Claudette – del tutto simili, indaffarate a condividere oltre che la medesima stanza, anche le medesime aspirazioni di vita, i medesimi studi, i medesimi svaghi di ragazze facoltose e ben educate, tali e quali alla sorella maggiore di Matteo) utilizza il denaro inviatogli non per gli studi ma per frequentare una scuola di danza.
In uno dei suoi lunghi viaggi di esplorazione attraverso Parigi, scopre per caso un negozio di articoli indiani, e la compagnia di ballo del maestro Krishna. E’ un’illuminazione. Scappa di casa (i genitori e i parenti, a quanto sembra, non avranno più notizie di lei) e impara l’arte del ballo. Viaggerà fino in Italia, dove conoscerà le più influenti dame dell’alta società veneziana. Si spingerà addirittura fino a New York, per approdare alla fine a Bombay. Arrivata in India, lascia Krishna e la compagnia di danza, alla ricerca della vera illuminazione.

La strada percorsa da Laila è molto simile a quella di Matteo. La ragazza, di intelligenza acuta e inquieta, si lascia trasportare completamente dal viaggio, abbandonando il suo passato e il suo presente, incurante delle conseguenze. Alla fine, dopo molte peripezie, dopo aver incontrato saggi veri e fasulli, ecco la sua verità, l’incontro con il maestro maestro Sri Aurobindo.

A noi rimane l’arduo compito di stabilire se Laila e Matteo abbiano incontrato davvero l’illuminazione che cercavano, o se abbiano visto soltanto ciò che con la più drammatica intensità desideravano vedere.

Vorremmo soffermarci da ultimo sul ruolo di Giacomo e Isabel. Già dalle prime pagine capiamo come i due ragazzini siano minati nel profondo dalla vita peregrina a cui sono stati costretti, un continuo errare tra luoghi e affetti. I bambini non hanno punti di riferimento: il padre non è mai vissuto insieme a loro, la madre è in viaggio da tempo.
Isabel cerca di sembrare più grande della sua età, ma allo stesso tempo chiede l’affetto di chi le sta vicino, e si comporta con Giacomo in maniera ambivalente: da una parte, cerca di proteggerlo assumendo il ruolo della madre assente, dall’altra è dispettosa e a tratti crudele, come spesso lo sono i bambini più irrequieti. Isabel è Matteo, e la nonna ne è consapevole. Inquieta e curiosa, irriverente e passionale, non esita a gloriarsi della sua nascita e della sua educazione indiana.
Giacomo invece sembra più tranquillo, ma ribolle nel profondo. Anche se, come Isabel, soffre la vita a casa dei nonni e la loro presenza, è taciturno e sottomesso, introverso e sensibile. Lo troviamo, la prima volta in cui ci viene presentato, seduto in giardino, intento a ricamare un girasole di lana su un cartoncino.
Senza inoltrarsi nei particolari della raffinata analisi psicologica dei due bambini, è evidente come l’autrice si sforzi di indicarli al lettore come le uniche, vere e tangibili conseguenze delle scelte di Matteo e Sophie, che risultano così ancora più colpevoli.
Itaca è Ulisse che torna a casa, è la famiglia di Sophie e di Matteo, sono i loro due bambini. Ma né Matteo né Sophie saranno abbastanza saggi da capire ciò che Itaca vuole significare (pag. 1, la poesia di Constantinos Kavafis che dà il titolo al libro).

L’opera richiede una lettura lenta e accurata, per gustare appieno le dettagliate e complesse sfumature psicologiche sottese ai personaggi descritti. Malgrado le descrizioni particolareggiate che superano in numero i dialoghi, l’attenzione del lettore è sempre viva e il libro scorre fluido. Da leggere con calma e in maniera continuativa, per non rischiare di smarrirsi tra le vicende di Laila, Isabel e Giacomo, Matteo e Sophie, visti gli scarti temporali che le separano. 

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