"Easter Parade", di Richard Yates

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Prova evidente di come si possa (se si vuole) andare molto più in là di ciò che ci viene proposto dalla letteratura di genere e da Hollywood, questo diabolico Yates fa saltar via in un colpo solo, con un tocco secco di scalpellino ben azzeccato, tutto quello che di pre-costruito ci circonda. Letteratura di cui, francamente, oramai da anni ne avevamo un po’ piene le tasche.




L’esaltazione del successo a tutti i costi, la celebrazione del “self-made man“, la glorificazione di una cultura di massa in cui anche l’essere anticonformisti diviene quasi uno studio di maniera che si riduce, puntualmente, in una mera e pedissequa imitazione di qualcosa già inventato da qualcun altro.

Ci sono tutti gli ingredienti giusti.
Le due sorelle della classe media (quella famosa dei Wheeler, quella “in ascesa”, quella delle grandi aspettative made in USA): due vite diverse eppure così simili nella loro crudezza e inconcludenza, come a dire che nessuno si salva, né la bella casalinga di provincia con il grembiulino inamidato, la cirrosi epatica da alcool e la faccia gonfia delle sberle prese dal marito, né la brava giovane emancipata sia nel lavoro che nel sesso, che paga con il deserto dei sentimenti e della solitudine una vita sempre alla ricerca inquieta (e vana) di un non ben dichiarato obiettivo di redenzione personale e di emancipazione familiare.

La società che cambia, il mondo frenetico della città (quasi un Sex & the City ante litteram per la “piccola” Emily, ci verrebbe da dire, se non avessimo paura di mostrarci irriverenti nei confronti di questo Yates in forma così – si fa per dire – smagliante).
Gli uomini, capitolo a parte. Che uomini. Qualcuno si salva? Parrebbe di no. Se non si salva Yates, non si salva nessun altro. Tralasciamo le avventure più o meno occasionali; figure di necessità soltanto abbozzate e citate appena, e anche qui davvero grande l’abilità di Yates che attraverso una curiosa operazione di meta-testo ci rende partecipi della dimenticanza: la difficoltà di Emily nel ricordare nomi, visi e situazioni rende questi figure di burattino, ai nostri occhi, ancora più marionette di come potrebbero essere realmente.

Troviamo questo Easter Parade (1976) veramente più maturo del più giovane Revolutionary Road (1961), e molto più interessante. I parallelismi tra le due sorelle, l’analisi della famiglia, sempre assente, sempre irrimediabilmente poco coinvolta nella vita dei congiunti (la Pookie del libro non è altro che la Dookie madre dell’autore, in un ritratto assolutamente identico e sovrapponibile). L’analisi della società, che dovrebbe essere stimolo e riflessione, e che invece diviene soltanto solitudine, incongruenza, falsità, inutilità.

Se in RR i giovani nutrivano in sé i germogli per una nuova rinascita, in EP anche la generazione successiva si trova a dover fare i conti con la precedente, in una sorta di nemesi storica senza scampo e senza fine: come le sorelle a confronto con la madre, così i figli / nipoti a confronto con il vecchio padre / padrone in un certo senso ne assolvono le responsabilità: anche quelle più drammatiche (e l’animo resta quieto e in pace, anestetizzato: emblematica la chiosa di Emily, nel garage del nipote, sull’andare in bicicletta).

Ci vorrebbero pagine e pagine per affrontare ogni singolo aspetto della scrittura di Jates. Basti qui annotare la descrizione dell’ineffabile, che attraverso l’analisi di particolari insignificanti rimanda sempre ad altro (la polvere sulla scatola delle lettere riposte nello sgabuzzino, l’intimo della vecchia madre visibile da sotto la vestaglia, le cravatte appese nell’armadio), e anche attraverso tutte quelle meravigliose espressioni di cordialità forzata, di compassione e di circostanza, ancora in fase di abbozzo in RR ma così vive qui in EP.

Ultime riflessioni: personalmente non concordiamo con le ipotesi di “cinismo” piuttosto in voga al momento. Non si tratta di cinismo verso una realtà di base valida seppure complessa e di difficile interpretazione. Si tratta di rivelare, senza troppi orpelli, la vacuità di qualsiasi struttura sovrasensoriale atta a modificare, reinventandola, una realtà tipicamente “made in USA” che di adorabile, magnifico, meraviglioso ha ben poco. Non a caso, tematica riscoperta oggi, durante i tempi bui di quella che noi Europei chiamiamo, a ragione, recessione.

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