First of all: cosa TROVERETE, di quella JK Rowling che già conosciamo, ne “Il Seggio Vacante”
- La passione per la caratterizzazione dei personaggi. Che paiono sempre vivere di vita propria, anche fuori dall’opera. Ci dà l’impressione che la Rowling sia una di quelle scrittrici che ama costruire i suoi protagonisti prima di tutto fuori dal testo, creando pagine e pagine di figure complete e sfaccettate di cui poi si diverte a mostrarci soltanto una minima parte, facendoci la grazia di buttarci là, a caso ma ovvio anche no, solo qualche briciolina di scarto, così come meglio le aggrada. Irritante… ma quanto ci piace.
- Le trame chiuse. E’ inutile, KJR non lascia mai nulla al caso o in sospeso. Stai sicuro che alla fine tutte le strade arriveranno dove devono e che tutti i fili saranno tirati e ben annodati: nétroppo, né troppo poco. Probabilmente non capiterà mai di ritrovarsi al termine di un testo della Rowling scoprendosi a pensare: “E allora?”. Chapeau, non da tutti
- L’attenzione per il reale dell’esistenza. Poche storie, si sta parlando di vite. Niente discorsi aulici, niente monologhi d’autore o tirate da 30enni sgamate in corpi di adolescenti scombussolate dagli ormoni. Uno è quel che è, pure (e soprattutto) con i suoi discorsi malmessi e le sue sparate illogiche (ve lo ricordate Harry? Il mago del “faccio-la-cosa-giusta,-ma-certo!-Come-no,-ohoh-ma-solo-dopo-averne-segate-altre-mille”. Per non parlare di Severus Piton, che non per niente diverse riviste critiche internazionali hanno indicato, specie dopo l’uscita del volume “Harry Potter & the Half-Blood Prince”, come uno dei personaggi letterari più riusciti di tutti i tempi)
- Lo stile. Equilibrato e teso tra dialoghi e parti descrittive: gli uni, pregnanti e mai troppo lunghi; le altre, sempre funzionali allo scopo prefisso, ovvero quello della contestualizzazione massima.
Second one: cosa invece vi lascerà stupiti, rivelandovi lati nascosti ed impensabili di quella JK Rowling che, uh uh, PENSAVATE di conoscere, ne “Il Seggio Vacante”
- La dissacrazione massiva, metodica, sistematica ma mai, neppure una volta, rancorosa né eccessivamente interiorizzata, di quel mondo so British di cui innegabilmente la Rowling fa parte. Effettivamente ne avevamo avuto un assaggio con la britannicissima Dolores Umbridge, tutta cardigan rosa, tazze di tè e gattini dipinti sui piatti di ceramica, ma forse la cosa ci era un po’ sfuggita, “mascherata” dall’enfasi posta su altri accenni relativi ad un certo, tipico way of life anglosassone che in HP veniva innegabilmente (e giustamente, visto il target dell’opera) celebrato: il college, le divise scolastiche, le tradizioni plurisecolari, l’architettura vittoriana, il pudding e le colazioni pantagrueliche, la nebbia londinese e i paesaggi mozzafiato del nord innevato. Ed è curiosa questa cosa, per due motivi: sia perché ipso facto caratterizza, di rimbalzo, Harry Potter come un romanzo a destinazione prettamente giovanile nel quale si esaltano, correttamente, alcune carratteristiche a scapito di altre (ma solo in apparenza, dal momento che MAI il lettore viene tenuto all’oscuro, disseminato com’è il testo di indizi e ammiccamenti sulla questione), sia perché ci fa comprendere appieno di come JK Rowling sia capace di BEN altro, se ci si mette di impegno
- Chiaramente, i temi adulti e il grottesco del reale. In un paesino di provincia, la prematura dipartita di un agguerrito consigliere comunale scatena una serie di eventi dal potere incontenibile e fortemente grottesco proprio per l’evidente incongruenza della situazione paradossale: un gruppo di “paesanotti”, convinti di far parte non di un mediocre consiglio comunale di una qualsiasi delle tante cittadine che popolano la campagna inglese, ma addirittura delle Houses of Parliament, si trova a scannarsi nel più brutale dei modi tra accuse reciproche e rivelazioni sconvolgenti e scandalose (con buona pace dell’ipocrisia fino a quel momento dilagante) che spaziano dallo scandalo sessuale (la moglie 45enne del candidato conservatore favorito che se la fa, o tenta di farsela, con il primo teenager che le capita a tiro) agli episodi del classismo più colonialista e socialmente deplorevole (la leader dell’opposizione, di origini indiane, vittima di un razzismo esaperato da parte del presidente del seggio che si è come dire dimenticato del fatto di essere stato salvato in extremis, dopo un infarto miocardico, dal di lei marito, emerito cardiochirurgo; la vicenda fortemente strumentalizzata di una realtà familiare dei bassifondi, tra violenze domestiche, tossicodipendenza, prostituzione minorile)
- Sotto capitolo a parte riguarda gli adolescenti – che, diciamocelo, non è che ne vengano fuori un gran bene. Beh, che ci si poteva aspettare, visti i genitori? Sì perché la guerra combattuta dagli adulti membri del consiglio comunale ha come contrappunto quella, in qualche modo molto più cruenta, quasi di trincea, dei rispettivi figli, che frequentano per la maggior parte la high school locale. Se in HP i “giovani cattivi” si contavano sulle dita di una mano ed erano chiaramente identificabili – e identificati – grazie all’appartenenza ad una specifica “casa”, qui le cose si fanno difficili, e più reali. Si va dalla doppiezza quasi psicopatica di quello che da tutti è considerato il prototipo del Bravo Ragazzo, alla bruttina dislessica che inspiegabilmente sarà l’unica a far breccia nell’animo inaridito della graziosissima e quotatissima new entry appena trasferitasi da Londra e sarà capace perfino di un atto di grande coraggio e sacrificio, fino al giovanetto brufoloso e scipito, sempre a rimorchio dell’amico più sgamato, che ad un certo punto non ne potrà più, del ruolo di spalla a cui pare delegato a vita.
- Il punto di vista interno multiplo, che rende pari il narratore al lettore poiché cancella l’onniscienza tipica della narrazione esterna. Perché nessuno (né adulto, né adolescente) è, alla fine, quello che appare. E tutti gli abitanti di Pagford hanno qualcosa che – non c’è storia – te li rende indigesti. Almeno un tantino. E per questo, così veri.
Last but not least: breve compendio sui personaggi, che poi impari a conoscere e mandi a memoria ma le cui vicende, almeno all’inizio, può risultare un momento difficile seguire, visto il tripudio di nomi, cognomi, ruoli, professioni e legami parentali. Questione adeguatamente risolta dall’editore. Se la casa editrice ce lo consente, ci permettiamo il link.
Buona Lettura 🙂