E così, ecco le stragi degli studenti in piazza acquistare una fisionomia più completa, trasformandosi da mattanze prive di qualsivoglia significato agli occhi stupefatti del popolo ignaro, in genocidi tremendi dettati da un senso del dovere distorto dall’abominio del servilismo, perpetrati da vecchi oligarchi malati, abbandonati al proprio destino, terrorizzati a loro volta dagli ordini secchi e perentori impartiti da sovrani ormai avulsi da ogni contesto politico e sociale.
Lo sguardo di ghiaccio del Ministro, che il popolo soggiogato dovrebbe considerare quale prova evidente di un potere saldo e incrollabile, si distorce, nel privato di una stanza buia ricolma di Madonne (quasi ad invocare un inutile postumo perdono), nel grido muto di un delirio tremebondo fatto di incubi, febbri e terrori.
Il corpo massiccio, pesante, stretto nelle divise di tessuto pregiato arricchite dall’oro e dalle pietre preziose, una volta liberato dei vestiti rivela ciò che la stoffa nasconde: carni deboli, sfatte e morenti di un uomo già condannato dal decorso inesorabile di una malattia che non risparmia né ricchi né poveri.
La vita scintillante della corte, tanto agognata dai poveri sudditi, è smembrata dall’interno in tutte le sue viscere fatte di favoritismi, invidie, malignità, ritorsioni, vendette, e pare che a nulla valgano – o meglio, pare che non siano di nessun conforto – le fini porcellane francesi, la mobilia raffinatissima, le dimore di campagna, i gioielli, la musica e le danze.
Contrasti stridenti, si diceva, ma anche evidenti parallelismi. Il destino segnato del giovane Léon, che “appartiene al partito per nascita”, alla pari di quello della giovane Irina, costretta suo malgrado ad un matrimonio di convenienza.
E poi, la malattia: i fiotti di sangue della tubercolosi che affligge Léon e la misteriosa tumefazione negli intestini di Kurilov: entrambe divorano i corpi dall’interno, mangiandoli con sfiancante lentezza in un alternarsi insostenibile di remissioni e recrudescenze.
Ancora: la cultura, lo studio, le lingue, su un piano diverso e parallelo che abbraccia non solo vicende personali e storia patria, ma anche il costume e la società.
Alla corte degli zar e nei palazzi del potere si parla non soltanto il russo più adeguato, ma anche – e molto più spesso – il francese e il tedesco. Si studiano le opere dei più talentuosi scrittori europei, si ascolta musica, si apprezza l’arte figurativa e il teatro. Tuttavia questa supposta, e celebrata, “internazionalità” (leggi alla voce… globalizzazione?) non è strumento sufficiente al rinnovamento di una classe dirigente saldamente ancorata a sovrastrutture sociali e culturali totalmente estranee al mondo europeo a cui si guarda con crescente fervore.
Al contrario, ma in parallelo, i rivoluzionari apolidi per nascita, come Léon, oppure per necessità e scelta, come Fanny, acquistano sì una vasta e fisica comprensione del mondo basata sull’esperienza (anche drammatica) di vita; esperienza “sul campo” che tuttavia non è corroborata e sostenuta da alcun approfondimento personale, teorico e culturale, e che rischia quindi di scivolare nella parzialità e nel fanatismo, se mal guidata (attenzione qui al ruolo dell’intellettuale – dei giornali, delle riviste, della letteratura in genere, nella formazione delle “masse”, tema tanto caro all’Irene degli ultimi periodi).
Ad entrare e uscire da questi mondi paralleli, il “medico” Legrand, incaricato dell’uccisione del ministro, unico punto di contatto tra due realtà entrambe distorte, impraticabili e di impossibile risoluzione.
Unica scelta possibile, la fede nell’Umanità, di cui l’Irene si fa portatrice, in tutte le sue opere e fin sul treno che la condurrà ad Auschwitz-Birkenau.