Estetica, Ecologia, Biodiversità

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C’è questo ciclo di seminari al quale ho partecipato, fra aprile e maggio: una serie di lezioni interdisciplinari organizzate dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze vòlte ad approfondire il rapporto tra estetica ed ecologia. Vorrei lasciarne qui una breve traccia.

Persistenze: contemplazione, distanza, giudizio, gerarchia / Nell’analisi dei modi che abbiamo di concepire le relazioni fra noi, esseri umani, e lo spazio che occupiamo sta la riflessione sulla centralità del paesaggio (1) e il rapporto di quest’ultimo con ciò che, invece, definiamo ambiente. Se con “ambiente” intendiamo, nella maggior parte dei casi, il generico di una non ben esplicitata natura, dentro a “paesaggio” inseriamo osservazione e rappresentazione, all’interno di un sistema di pensiero dualistico che include la mediazione operata dalla cultura alla quale apparteniamo. Proprio qui, nella ricerca sul paesaggio – ciò che esso ha sempre significato per la nostra civiltà occidentale e come dalla nostra civiltà occidentale è stato rappresentato (2) – si rende evidente come la crisi ecologica non possa più restare disgiunta dalla crisi dei saperi umanistici e nemmeno da quella dell’estetica. Paesaggio-pittura ed eccezionalismo, escapismo e feticizzazione dell’esperienza, neutralizzazione dei conflitti e pratiche colonialiste: durante il seminario ci si è domandati cosa si intenda con “percepire ecologicamente“, come si possa recuperare la natura sostanziale del paesaggio come “infrastruttura vivente all’interno della quale resti vivo il nesso fra comunità, giustizia, natura ed egualità” (3) e in che modo fruirne in senso estetico.

La risonanza nell’esperienza estetica: assottigliare l’ego, nella memoria di cinematiche motorie / Cosa si intende per estetica relazionale – o ecologica? Cosa significa “percepire nella corrispondenza“? Forse tornare a “riaprirci alla ricettività”: un certo “atteggiamento disposizionale”, si diceva, che nella sospensione del giudizio si ri-orienta in senso riflessivo e mira ad accogliere l’esperienza nell’ottica di una “postura espansiva di accoglienza e compassione” (4). Se il punto di crisi dell’estetica è proprio la perdita della “risonanza” (all’interno di un “piano di comunanza”), e se lo spazio architettonico nasce come “evocazione di cinematismi motori” (5), in che modo le neuroscienze possono contribuire a un approccio più umanocentrico di architettura, urbanistica e disegno del paesaggio?

Pesci, uccelli, talpe, coccodrilli e altre bestie che popolano cieli e sogni suburbani / Se ci venisse posta la domanda: what is nature in the city – a cosa pensi, quando pensi alla natura nel contesto urbano – probabilmente risponderemmo: piante, aiuole, spazi di verde incontaminato, poche persone, tranquillità. (E gli animali? Dove sono finiti?) Se ci venisse posta la domanda: what is culture in the city – a cosa pensi, quando pensi a ciò che significa cultura nel contesto urbano – probabilmente risponderemmo: musei, monumenti, edifici storici, cinema, forse librerie e biblioteche. (E la dimensione intangibile? Dov’e che ce la siamo persa?) Cosa significa quindi conservare oggi natura-e-cultura all’interno di un contesto urbano? (6) Ma anche, ci si domanda cosa significhi per il benessere di una persona avere a che fare con un certo ambiente, perché il tema della qualità della vita afferisce a più discipline, compresa la filosofia (7), e tocca non solo argomenti sociali e politici ma anche quelli relativi alla conservazione della biodiversità, alla coesistenza e convivenza di esseri viventi umani e non umani, all’etologia (8) fino alle pratiche del rewildening e le punte più estreme del conservazionismo (9).

Labelling necesse est: dal canone agli strumenti di immaginazione / Che cosa hanno da dire la letteratura e le arti riguardo la crisi ecologica? Malgrado parlare di canone sia questione spesso fuorviante, si riconosce la necessità di alcune linee guida: Giulio Ferroni, Enza Biagini, Serenella Iovino, Anna Re e poi via via chi di ecologia letteraria si è occupato ancor prima dei testi fondativi, da Ortese a Meneghello (10). Il punto tuttavia è altro ancora: come e cosa comunicare, relativamente all’Antropocene, a bambini e ragazzi, nell’eterna alternanza, che da sempre esiste nella letteratura per i piccoli, fra l’attitudine “franca e di verità” e quella “protettiva” (11). Se da una parte occorre limitare i sentimenti di ecoansia (l'”ecocidio irreversibile”) dall’altra bisognerebbe anche star lontani da una certa estetica del disastro che, di fatto, elimina dalla conversazione l’analisi politica, reiterando l’idea di una distopia neoliberista all’interno della quale siano preponderanti gli scenari di sopravvivenza elitaria (11). Dal tema della “salvezza ingegnerizzata” a quello del lutto, dal paesaggio sintetico agli spazi dell’assenza (12), fino alle riflessioni sull’antispecismo, anche il canone della narrativa “del dopo”, in specie per i bambini, ha bisogno di una ridefinizione. Andiamo insomma dotati di “strumenti di immaginazione” (11) che nella fondazione scavalchino l'”educazione di massa al meno” (meno risorse, meno diritti, meno democrazia) e ci aiutino a sviluppare uno sguardo nuovo, contaminato, su un linguaggio che deve di necessità sistemarsi all’interno di una visione post-coloniale.

Non è certo possibile riassumere in poche righe tutti gli interventi proposti dai singoli relatori. Qui mi sono permessa di sistemare solo alcune, brevi e di fatto non esaustive note a riguardo, tra le tante pagine di appunti presi durante le lezioni. Ringrazio Mariagrazia Portera e Vincenzo Zingaro di UniFi per la disponibilità e l’accoglienza: gli strumenti di partecipazione on line sono così preziosi.

Note: (1) Qui i dettagli e il programma del seminario, sul www. della facoltà di Lettere e Filosofia (DILEF) di UniFi. Le lezioni sono parte delle attività del National Biodiversity Future Center, all’interno del progetto EUniWell «Human and non-human well-being in the Anthropocene city: Guidelines for interdisciplinary research and sustainable policies». / (2) e (3) Dall’intervento di Alberto Siani (Università di Pisa) “Dall’ambiente al paesaggio: estetica ed ecologia” – 18/04. cfr Landscape Aesthetics: Toward an Engaged Ecology / (4) Dall’intervento di Nicola Perullo (UNISG Pollenzo) “Estetica senza (s)oggetti. Pensiero relazionale e percepire ecologico” – 7/05. / (5) Dall’intervento di Davide Ruzzon (IUAV Venezia) “Tuning Architecture With Humans” – 9/05. / (6) Dagli interventi di Elisa Martinelli “Human and Non-Human Well-Being in the Anthropocene City. Guidelines for Interdisciplinary Research and Sustainable Policies”, Mariagrazia Portera “Conservare natura e cultura – la dimensione immateriale della conservazione e il ruolo dell’estetica”, Elena Buonafede “Firenze come caso di studio per la conservazione di natura e cultura: i primi risultati di un’indagine qualitativa” – 23/05 / (7) Dall’intervento di Andrea Coppi (BIO – UniFi) e Matteo Galletti (DILEF – UniFI) “Benessere e biodiversità: una ricerca interdisciplinare” – 23/05 / (8) Dall’intervento di Alessandro Cini (BIO – Università di Pisa) “Etologia e Antropocene. Capire il comportamento animale in un mondo che cambia” – 23/05 / (9) Dall’intervento di Elena Tricarico (BIO – UniFi) “Bellezza problematica: attrattività estetica e invasioni biologiche” – 24/05 / (10) Dall’intervento di Diego Salvadori (FORLILPSI – UniFi) “Ecologia letteraria a Firenze: stato dell’arte e progetti in corso” – 23/05 / (11) Dall’intervento di Matteo Meschiari (Università di Palermo) “L’Antropocene dei bambini. Scritture del dopo e Territà” – 24/05 / (12) Dall’intervento di Marco Malvestio (Università di Padova) “Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene” – 24/05.

“Raccontare la fine del mondo”, di Marco Malvestio

Ho cominciato questo nuovo anno di letture con “Raccontare la fine del mondo”, di Marco Malvestio. Attraverso l’analisi di opere iconiche appartenenti al genere della letteratura distopica e della narrazione post-apocalittica – da pagine che hanno fatto la storia come “La spiaggia terminale” di J.G.Ballard a pellicole blockbuster quali Resident Evil – l’autore (ricercatore presso l’Università di Padova) si impegna a raccontare le modalità e le ragioni in base alle quali queste tipologie di “scritture dell’immaginario” sono state scelte, sin dal 1800, come forma prediletta per – appunto – “raccontare la fine del mondo”.

Il tema cardine intorno a cui ruota questo saggio, scorrevole e adatto anche ai neofiti della materia, è la definizione di Antropocene (“L’intera era geologica caratterizzata dall’impatto delle attività umane sull’ambiente”) e la maniera in cui questa nuova, nostra epoca – che alcuni fanno cominciare dal primo test nucleare della storia (il Trinity test, 15 luglio 1945), altri dalla Rivoluzione Industriale – è declinata, spiegata e (o) interpretata all’interno del contesto letterario e (o) cinematografico della fantascienza.

L’opera si sviluppa in cinque capitoli a tema, ciascuno dei quali affronta la fiction distopico/apocalittica in base all’argomento che essa, di volta in volta, si ritrova a trattare: il nucleare, la pandemia, il cambiamento climatico, il regno vegetale, il regno animale. Il punto di Malvestio non è tanto quello della lettura critica di un catalogo (anche perché – per stessa ammissione dell’autore – le opere e le pellicole citate sono moltissime e varie ma riferiscono quasi tutte alla sfera di influenza nord-americana, o in generale anglosassone, e mancano i rimandi alle nuove forme di fantascienza di matrice asiatica, al sistema multiforme dell’Afrofuturismo, a tutta la galassia Solarpunk) quanto quello del domandarsi per quali ragioni la nostra contemporaneità, pur nella sostanziale durevolezza (perché questo nostro tempo, malgrado la pandemia, è di fatto uno dei periodi più floridi per il genere umano), sia così interessata alle (no, diciamo meglio: ossessionata dalle) fantasie sulla catastrofe.

In questo senso è evidente il merito di “Raccontare la fine del mondo”, che è quello dell’insegnare un linguaggio. Analizzando le motivazioni che stanno alla base di opere quali “La spiaggia terminale” di J.G.Ballard o “L’esercito delle dodici scimmie” di Terry Gilliam, “Contagion” di S. Soderbergh e, ancora, la trilogia dell’ “Area X” di Jeff VanDerMeer o “Il pianeta delle scimmie” di Pierre Baulle, Malvestio introduce al lettore i concetti dipaesaggio sintetico” e di “spazi dell’assenza” e crea familiarità, per esempio, con il pensiero della “medicina positivista” e del “sogno del contenimento igienico” che, nella fantascienza, sono gli strumenti attraverso cui vene fatto emergere il sommerso tutto occidentale delle ansie sinofobiche (post)coloniali, nell’ottica di una “trasformazione” vista come contaminazione verso cui si prova un timore che è “cultural(e) e politic(o) prima che sanitari(o)”. Per non parlare dello nzumbe di origine congolese, che se nella tradizione kikongo significa “il feticco”, nella trasposizione d’oltreoceano rivela, ancora una volta, l’ansia di contaminazione da parte del “suddito coloniale schiavizzato”. Impariamo poi la categoria concettuale degli iperoggetti, all’interno della quale occorre inserire la discussione sul cambiamento climatico inteso come “entità diffusamente distribuita nello spazio e nel tempo” e infine, nei capitoli dedicati al mondo vegetale e a quello animale (inteso come “tutti eccetto l’Uomo”), ci avviciniamo alle nozioni di “agentività vegetale“, plant blindness, “anti-antropomorfismo” ed ecofobia (oltre che alle categorie letterarie del terroir, del weird e dell’eerie).

Ancora una volta, insomma, la tanto vituperata fantascienza si rivela uno tra i pochi strumenti di creazione artistica a nostra disposizione – nella parola scritta, nel fumetto, nella produzione cinematografica – utile a “immaginare un futuro possibile e attraverso questo futuro di ripensare il presente“.

Note: 1) I virgolettati sono citazioni che provengono direttamente da “Raccontare la fine del mondo”. 2) In calce al volume è presente una corposa bibliografia, che per la maggior parte delle voci è costituita da testi (saggi, pubblicazioni universitarie, articoli, long-form) stranieri mai tradotti in italiano: questo fatto la dice lunga sullo stato di queste analisi in Italia. 3) Su ADC ci siamo più volte occupati degli argomenti toccati nel saggio di Malvestio. Qui ai link sotto lascio alcune letture, ordinate per argomento. 4) Sul Twitter, a questo link, citazioni e altri approfondimenti su punti specifici di “Raccontare la fine del mondo”.

La “Trilogia dell’Area X” e “Borne” di Jeff VanderMeer, “Loop” di Simon Stalenhag per capire il new weird e lo “sci-fi vintage” – “Una passeggiata nella Zona” di Markijan Kamyš, “L’altro mondo” di Fabio Deotto, “Qualcosa là fuori” di Bruno Arpaia, “La sesta estinzione” di Elizabeth Kolbert, “La grande cecità” di Amitav Ghosh per parlare di Antropocene e cambiamento climatico – “Neghentopia” di Matteo Meschiari, “La guerra invernale nel Tibet” di Friedrich Dürrenmatt per un tuffo profondissimo nelle distopie post-apocalittiche più buie.