“Artico – la battaglia per il Grande Nord”, di Marzio G. Mian. #adcNorthPole (2)

“La fetta di mondo che paga il prezzo più alto per effetto del cambiamento climatico è anche quella che, per le stesse ragioni, offre immense opportunità di conquista e di potere, nuove rotte marittime commerciali, esotiche destinazioni turistiche, nuove frontiere di sviluppo e di ricchezza, altre inesplorate, sterminate praterie per la ricerca e il progresso” (pag13-14)

Marzio G. Mian (Rai, Sette, Il Giornale, GQ, L’Espresso, Io Donna) da anni si occupa di inchieste e reportage internazionali. Ha fondato The Arctic Times Project, un’associazione di giornalisti internazionali indipendenti che si occupa di “far luce sui profondi cambiamenti economici, geo-politici e culturali che stanno avvenendo nell’Artico come conseguenza del cambiamento climatico”.

Artico – la battaglia per il Grande Nord” è il risultato di dieci anni di indagini sul campo che Mian ha svolto con lo scopo di raccontare il Nuovo Artico così come è ora, sia dal punto di vista di chi ci vive sia da quello di coloro che, dall’Artico, vorrebbero trarre profitto – o lo stanno già facendo. I cinque capitoli di cui è composto il volume affrontano in maniera monografica ciascuno dei punti nevralgici, “big five” indiscussi, che dominano la polar rush contemporanea, seguendo uno schema che partendo dall’analisi geografica si intreccia poi con lo studio del contesto politico, economico, sociale, antropologico e mescolando abilmente, nel solco della tradizione ormai consolidata della narrative non-fiction, dati accuratissimi, interviste a figure di spicco nei diversi ambiti e testimonianze locali.

“IL GENERALE ESTATE” – Groenlandia: “Ciò che accade nell’Artico non rimane nell’Artico” (pag15). Dal 2011 sono scomparse in Groenlandia 375 miliardi di tonnellate di ghiaccio. La calotta al centro dell’isola supera i 13km di profondità e da sola, per attrazione gravitazionale, è in grado di influire sulla distribuzione degli oceani. Il ghiacciaio Jokobshavn contribuisce da solo al 10% del totale degli iceberg che abbandonano la calotta: tra il 2001 e il 2006 il fronte ha perso 14km. E’ ormai assodato che lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia distrugge la vena più settentrionale della corrente che parte dal Golfo del Messico.

“Le dirette conseguenze della perdita di calotta artica sono abbastanza facili da prevedere, quelle indirette sono molto più complesse, difficili da quantificare e potenzialmente più drammatiche della scomparsa di orsi polari e dell’innalzamento del livello marino” (pag35)

Quali? Narsaq: costruzione della miniera di uranio a cielo aperto più grande del mondo. Dispersione ed emersione di tutto il materiale radioattivo sepolto sotto il ghiaccio in conseguenza al “progetto ICEWORM“, rete di basi segrete americane costruite durante la guerra fredda e poi abbandonate (Volete sapere che fine ha fatto un bombardiere B52 americano, precipitato tra i ghiacci nel 1968 insieme alle sue testate all’idrogeno? Già, lo vorremmo sapere anche noi). Incapacità delle popolazioni locali di adattarsi alla pesca della nuova fauna ittica giunta col caldo – che così diventa esclusivo monopolio delle grandi navi-fabbrica. Disoccupazione, alcool, sradicamento, problemi di integrazione. La perdita di un ecosistema ultima testimonianza, ancora in essere, dell’era Mesoproteozoica.

“RAPSODIA DEL CARIBU'” – Norvegia/Alaska: “Lo spirito che regna nel Grande Nord non è quello di Babbo Natale” (pag44). Mare di Barents: Goliat (ENI) la piattaforma off shore più a nord del mondo. 62mila tonnellate, 92 pozzi, capacità produttiva 100mila barili al giorno. Obbiettivo di Trump: sfruttamento del più grande giacimento artico (6 miliardi di barili) di Nord Slope – Alaska del nord – che però, peccato, al momento è una riserva naturale, ultimo luogo di migrazione dei Caribù (80mila capi).

“ARCIPELAGO PUTIN” – Russia: la febbre bianca. Le miniere-lager fondamenta delle città industriali sovietiche nell’Artico; la “pattumiera nucleare” di Novaja Zemlja; la piattaforma Tsentralno-Olginkaya, mare di Laptev, 10miliardi di tonnellate di petrolio estratte stimate. La storia di Petr Shelomovsky, uno dei pochi fotoreporter a esser riuscito a documentare l’apocalisse ambientale dell’artico sovietico. Norilsk, la città più fredda e inquinata della Russia con i suoi impianti di nikel e rame (per paradosso, gli elementi base per la costruzione delle batterie per le auto elettriche), le nubi di anidride solforosa e i “colori acidi” del cielo. Il sommergibile Kursk k141 che nell’agosto del 2000 esplose e affondò nel mare di Barents, col suo carico di missili atomici. La storia del King Crab, il pregiato granchio reale russo che spinto dal riscaldamento dell’Artico Russo ha varcato i confini del Finnmark orientale.

“Lascia che la bestia verde in Siberia sia vestita nel cemento armato delle città, nel cemento delle fabbriche chimiche, cinta dal ferro e da mille binari. Lascia che la taiga sia bruciata. Solo con il cemento e con il ferro si realizza la fraterna unione dei popoli, la fratellanza si forgia nel ferro nel cemento. Vladimir Zazverin” (pag75)

“IL DRAGONE BIANCO” – Islanda: “La tigre bianca è diventata presto un gatto spelacchiato” (pag92). Baia del Finna Fjord – ora ice-free per tutto l’anno grazie al global warming: sorgerà uno dei più grandi porti del Nuovo Artico (investitori: Germania, Islanda, Cina, Singapore, fondi americani): stoccaggio petrolio e gas, complessi per la trasformazione delle materie prime. Il “last chance tourism“: da Game of Thrones alla wilderness, ecco a voi il selvaggio a portata di low cost. Quando “Arctic” è più cool di “green”.

“Si paga per giocare al piccolo Amundsen, la comitiva diventa spedizione, si cerca la solitudine remota in gruppo. Vivono l’esperienza del servaggio o la compassione per un ghiacciaio come fossero davanti alla gabbia del gorilla” (pag106)

“L’Islanda ha fatto dell’Artico un brand. L’ha spogliato dell’accezione colpevolizzante – un mondo fragile, sfregiato, sempre meno bianco – consegnandolo all’immaginario e al mercato come l’esotico d’ultima generazione, il Selvaggio a portata di tutti” (pag107)

“LA PROFEZIA DI BOREA” – Canada/conclusione: “Si è ammantata di poesia e di romanticismo una rapina” [Tony Penikett, ex premier Canadese] (pag122). Popolazione indigena dell’Artico: il più alto tasso di suicidi al mondo. E’ come se in Italia ogni anno si ammazzassero 60mila persone. Le cause: lo sradicamento coatto, la sensazione di inutilità (tradizioni, cultura orale, sciamanismo), il senso Inuit che non concepisce l’individuo in quanto sé ma solo come parte di un ambiente.

Insomma, a dispetto dei turisti dell’estremo che cercano nell’Artico l’ultimo luogo “immutabile e fuori dal tempo” l’Artico si muove eccome, ed è forse il fastello più grande delle contraddizioni che animano il mondo moderno: dalle miniere di uranio della Groenlandia, che ad oggi è uno stato autoproclamatosi antinucleare, alla Svezia con i suoi movimenti per la creazione di un “genere neutro” e i siti web in cui si denunciano gli uomini “troppo machi”, dal movimento culinario del New Nordic (Noma, Copenaghen) con la sua cucina boreale fatta di bacche, muschi e licheni alla lotta per lo sgombro, diventato insieme al merluzzo un “animale politico” che avvelena i rapporti tra Norvegia, Scozia, Irlanda e Islanda poiché in migrazione stabile dalle sue terre tradizionali verso l’area delle Faer Oer, a causa del surriscaldamento dell’acqua.

https://it.wikipedia.org/wiki/Artide#/media/File:Artide.svg

Buona lettura 🙂

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