Più di 10 milioni di Italiani hanno un profilo LinkedIn, lo sapevate? Ma quanti, di questi diecimilioni, LinkedIn lo sanno usare davvero? Non tutti in realtà, e ci sono ampi margini di miglioramento. A rivelarlo sono i numeri – #TheEconomicGraph* non mente mai – che ci parlano di #summary creati e poi lasciati lì a vegetare soli soletti per mesi (anni, nei casi più drammatici) e di foto profilo scattate a bordo piscina, durante il matrimonio del cugino di secondo grado. Ma questi, va detto, sono peccati veniali che capitano un po’ a chiunque. Quello su cui occorre riflettere davvero è piuttosto la nostra (scarsa) propensione all’utilizzo del professional network all’americana per lo sviluppo della nostra carriera lavorativa: una metodologia di gestione della propria professionalità basata – off line così come sulla rete – sulla condivisione verticale delle informazioni e sulla capacità di creare legami cross-funzionali, superando in molti casi le barriere gerarchiche dettate dall’anzianità (di età e ruolo) alla ricerca costante non tanto di nuove opportunità di carriera quanto di mentori e referenze (da cui poi derivano anche le opportunità di carriera).
Di queste e di altre bellezze offerte da LinkedIn ci ha parlato giovedì scorso Luca Bozzato, Lead LinkedIn Certified Trainer (a oggi l’unico in Italia) in una giornata di workshop @Unimib alla quale ho partecipato anche io – come ormai tutti sapete dato l’entusiasmo con cui ne ho parato su Twitter. Otto ore di formazione mirate a gestire la propria presenza su LinkedIn secondo un criterio di credibilità e condivisione delle informazioni solo all’apparenza semplice e banale, che presuppone in primis la risposta a una fondamentale domanda: ma se è vero (e fidatevi, è vero) che soltanto il 25% (venticinquepercento) degli utenti di LinkedIn è attivo nella ricerca di nuove opportunità professionali, l’altro 75% cosa diamine fa, di preciso, su LinkedIn? Posta foto di gattini? Spiace, ma no. Ecco cosa fa, o cosa dovrebbe fare, secondo Reid Hoffman: “creare opportunità economiche per ciascun membro della forza lavoro globale”
“Create economic opportunity for every member of the global workforce”
Vale a dire: circa il 70% della gente che sta su LinkedIn (nel modo giusto) non cerca lavoro, ma è disposto a parlare di opportunità professionali con selezionatori e cacciatori di teste. Non cerca lavoro, ma ha piacere di conversare di opportunità di affari con la propria cerchia di contatti. Non cerca lavoro, ma espande il proprio #network, si aggiorna, si autopromuove (#personalbranding / #selfmarketing). Insomma usa LinkedIn per un unico scopo, che poi è quello per cui è stato creato: “Incontrare persone fuori da LinkedIn, che mai, senza LinkedIn, avremmo potuto incontrare” (per dirla, virgolettata, come l’ha detta Luca Bozzato). La ratio del workshop viene quindi di conseguenza: come creare un profilo che sia prima di tutto credibile (si va dalla foto di cui sopra alla questione molto più spinosa dell’ “effetto LinkedIn” sui jobtitle auto/etero referenziati, dalla gestione dei profili in lingue diverse alla personalizzazione del pubblico di riferimento), come organizzare un network adeguato (#IndustrySpecific e #RoleSpecific, ad esempio) e infine come far fruttare al meglio uno degli strumenti cardine dell’esperienza su LinkedIn: la pubblicazione di contenuti professionali di qualità.
“LinkedIn è uno strumento a cui non piace fare sconti – dice Luca Bozzato – non ci sono scorciatoie, occorre lavorare per creare fiducia e relazioni”. Ciò significa evitare di focalizzarsi soltanto sul proprio profilo e dare adeguato spazio alle attività di pubblicazione di contenuti e di interazione con i contenuti pubblicati dagli altri utenti. Da una parte abbiamo la necessità di una comunicazione aperta, costante, sobria e “non polarizzata”, dall’altra il dovere della divulgazione di materiale altrui rispettosa e sempre accompagnata da un commento pertinente e portatore di plus-valore.
Luca Bozzato ha, a mio parere, un merito particolare: la capacità di integrare la vision improntata sulle tecniche di networking d’oltreoceano, come è giusto che sia, con la consapevolezza nei riguardi delle dinamiche di rapporto interpersonale di matrice tipicamente europea, molto differenti da quelle americane; ecco spiegata l’attenzione che durante il workshop ha dedicato ai concetti di like in rapporto al “consiglia”, alla differenza tra “contatto” e “following“, alle modalità di fruizione di LinkedIn riservate al giornalismo e alle Pubbliche Amministrazioni.
LinkedIn fonda la propria credibilità su un’abilità che l’utente attivo deve acquisire al più presto: quella particolare esperienza che permette a ognuno di essere in grado di rintracciare i rumori di fondo selezionando al meglio i propri contatti, le proprie aree di intervento ed eliminando i feed indesiderati; ecco perché, se siete davvero bravi, sulla vostra time-line non troverete mai foto di gattini, ma soltanto persone interessanti che pubblicano contenuti interessanti, innovativi, di qualità.
Nota: non smetterò di sostenere che se necessitate di formazione specifica su certi argomenti è sempre meglio riferirsi a enti che la formazione la sanno fare e/o si servono di professionisti certificati che di formazione ne sanno indiscutibilmente qualcosa. L’Università degli Studi di Milano Bicocca è a mio parere uno di questi. Potete trovare tutte le informazioni sul piano formativo extracurricolare qui.
*il nome dell’algoritmo che sta alla base del social creato 14 anni fa da Mr. Reid Hoffman, un informatico 35enne, ex-Apple, laureato in Scienze Cognitive all’università di Stanford…