Attenzione: dissertazione lunga, questa volta, divisa in due parti per necessità.
Potete leggere la prima parte qui
Fedele il riflettersi, di questa casa così densa di odori e significati, nell’asetticità dell’appartamento che Carlo si trova ad abitare a New York. Specchio impietoso, rimanda immagini di pura – e stereotipata, si potrebbe pensare, ma non potrebbe essere altrimenti – follia incontrollata, così lontana dall’abbraccio (mefitico) della magione della sovrana Nonnilde. Così come i pub illuminati da neon e riflessi di flute e champagne fanno da preciso contrappunto al Patriarca e a tutti gli altri bar di paese che popolano il ricordo di Carlino. Ma con i raffronti potremmo andare avanti all’infinito.
Questo è il romanzo di formazione: la vita mirabolante, composta dal caso e poi mischiata e confusa dalle mani esperte (?) del destino imperscrutabile.
Prima, in un Sud che, nelle sue infinite particolarità, acquista il carattere dell’universale: “in ogni paese che si rispetti”, dice, saggio, Cappelli. Non solo al Sud, chiosiamo noi pudicamente. Poi, nell’America del Nuovo Mondo, delle possibilità infinite e del guadagno facile, alla conquista di un sogno americano che si fa via via più inconsistente e fugace e che si conclude – ma forse anche no – tra lande desolate coperte di neve, popolate da personaggi che del Sogno Americano ne hanno perse le tracce – o non le hanno mai volute seguire (malfattori esiliati, prostitute, indigeni del luogo, delinquenti, perdigiorno), al suono di canti lontani che riportano a echi di bambini (lo sceneggiato in tv e il fiume San Lorenzo), di fronte a quello che dal passato riaffora, come detriti sulla spiaggia dopo la tempesta e che prepara la via per un futuro ancora tutto da costruire, insieme a compagni di viaggio che nel bene e nel male quel Sogno Americano l’hanno fatto proprio, chi accettandolo in ogni sua forma e sfruttandolo a proprio piacimento (Pit) e chi, come Cybill (wow, il nome, vedi sopra alla voce Nonnilde e la Sibilla cumana) ne è rimasta vittima inconsapevole.
Ora, noi ci prenderemmo la libertà di un’ ultima oservazione sullo stinco di zio Arcangelo – per altro trafugato dalla sbarbina hippie di turno, convertita al punk nel giro di un’estate – e chissà che fine ha fatto, ci piace saperlo al sicuro, magari Carlino grazie il denaro della moglie sarà pure riuscito a recuperarlo.
Lo stinco di zio Arcangelo, dicevamo, allo stesso modo delle teche contenenti le reliquie dei santi, come Lo Romita de la Muntagna o il santuario del professor Sabino Corelli con i suoi misteri esoterici (quasi un’iniziazione mistica, a cui l’organista Medoro aveva dato avvio) non ha valore in sè, ovviamente, ma in quanto rappresentazione.
Di un mondo di supersitizione, credenza, tradizione, cultura e saggezza popolare che rimane vivo, e pregnante, per quei pochi – anche in esilio volontario, vedi zio Richard – che si sono presi la briga di coltivare, nonostante gli anni, il tempo, l’assoluta illogicità e l’evidente anacronismo.
Appunti. Stile e lettura.
Italiano ballerino, composito, variegato; si parte dalla lingua d’uso, corretta e precisa e addirittura ricercata nel lessico e nella forma (la subordinata la fa da padrone, con strutture a chiasmo, circolari e difficili, ma complete e bilanciate) per scivolare poi nella variante regionale e addirittura nel dialetto – comprensibile o meno.
Il florilegio di linguaggi atipici e lessico caratteristico testimonia la passione dell’autore per la parola scritta e la lettura onnivora: riviste di gossip, giornali di paese, enciclopedie, libri d’arte e archeologia, musica, affari, finanza.
Secondo esperimento di lettura “pesante” per l’anno in corso, ma che più veloce di così non si può.