“Scorciatoia per il paradiso”, di Teresa Solana

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Teresa Solana si impegna e getta le basi, metodica, attenta. Una puntata zero, quella del primo romanzo, descritto nel post precedente. Giusto per capire se i due fratelli detective più improbabili del mondo, e tutto ciò che li circonda, fossero all’altezza del pubblico sovrano – e lo sono, a quanto pare, cosa di cui avevamo già discusso.
”Scorciatoia per il paradiso” è invece una puntata uno: come dire, l’inizio di una nuova serie tv che speriamo faccia presa sullo spettatore, malgrado la posizione defilata e il target piuttosto di nicchia. Sperando che, esemplare di nicchia, ci rimanga.
Dietro il turbinare di paragrafi, personaggi, situazioni intricate e rimandi contorti, la struttura è lineare, limpida ad occhio attento.
Teresa Solana lavora con metodo. Prima di tutto, rifinisce le trame. Determina luoghi e paesaggi e da persona intelligente mette in pratica quel che tutti i romanzieri con le controsuddette insegnano: nel primo libro – che per noi è il secondo, ma va bene lo stesso per i fatti di cui sopra – parla di ciò che conosci. Quindi, via a ruota libera a parlar di letteratura, critica, cultura e snobismo delle Lettere, ché di argomenti ce n’é da vendere.
L’assassino c’è, i mezzi per individuarlo pure, e la trama va via liscia senza troppi orpelli. Ma occorre rifletterci sopra, e vediamo il perché (*).
Sistemata la trama, su cui torneremo, la Nostra si accomoda sui personaggi.
Non soltanto i due fratelli Estivill – Martínez con tutte quelle loro personalità multiple che abbiamo già imparato a conoscere e con cui ci sentiamo (per osmosi, direi) in intima confidenza – non soltanto, sicché loro due, da soli, qui non possono funzionare.
Perché (e vedi sopra alla voce asteriscata) non siamo in presenza di due moderni Holmes / Watson, neppure se li immaginiamo un po’ caratterizzati e ri-costruiti ad immagine e somiglianza di R Downey Junior e J Law.
I due fratelli detective dilettanti non avrebbero ragione di esistere, e nemmeno un grande spessore letterario, privi di ciò che li circonda: Borja con le sue amicizie altolocate, le amanti danarose e un po’ svampite, i traffici al limite dell’illecito con personaggi loschi e demodè; la famiglia di Eduard, la moglie Montze e il suo centro benessere alternativo, la sorella post-hippie Lola, le due gemelle che si muovono sempre in coppia e fanno realtà a sé all’interno della famiglia, e il piccolo Arnau, lingua svelta e occhio vigile.
E fin qui ci siamo, all’opera zero.
La nostra Solana però si rende conto di come, tra tutti questi personaggi, pochi potrebbero aspirare al ruolo di comprimari (siamo sempre qui, a parlare della storia del “personaggio non conveniente”).
E allora se li inventa, con la promessa di farceli ritrovare – almeno, quelli più riusciti – nel plot delle puntate prossime: noi si scommette sull’ex detective in pensione – passato misterioso, vita criminale, occhio di falco, memoria di ferro – e sul commissario di polizia, lo sguardo di ghiaccio e il fare da duro.
Ora. Ci era parso che questa Solana ci ricordasse qualcuno, ma non ci sovveniva chi.
Allora, siccome era idea che non ci lasciava dormire la notte, ce la siamo riletta tutta, piano piano, fino a che non siamo incappati nel piccolo Arnau. Che non dice, non fa, non parla se non per brevi accenni, ma si limita ad esistere, all’interno del microcosmo della famiglia Martìnez.
Ebbene, l’illuminazione ci è venuta proprio pensando a questo piccolo comprimario.
Con meraviglia sempre crescente, lo abbiamo magicamente sovrapposto, senza tanta fatica, ai “piccoli” di casa Malaussene (Il Piccolo e E’ un Angelo, per intenderci).
Il nostro vecchio, caro Benjamin è un Eduard ante litteram, con i suoi problemi di liquidità, di figli perduti e ritrovati, genitori svampiti, delitti irrisolti all’interno dei quali si trova, per la consueta legge Pennac sul capro espiatorio, infilato d’imperio da chissà quale demone celeste. Benjamin Malaussene se ne va in giro per una Belleville cosmopolita e fragrante, tale qual è la Barcellona dei due fratelli Estivill – Martínez, così feconda di profumi, gente, storie e vita.
Morale della Storia, vale qui la medesima nota su cui avevamo riflettuto per “Delitto imperfetto”. Eduard e Borja funzionano perché sono tutto tranne che eroi senza macchia e senza paura. Sono autodidatti e pasticcioni, sovrani indiscussi dell’arte (tutta italiana, verrebbe da dire) dello scrocco e dell’arrangiarsi alla ventura, arte che però risulta posticcia e provvisoria, foriera di risultati bislacchi e – a buon guardare – senza capo né coda, e dal futuro incerto.
Un esempio per tutti, la conversazione con l’ispettore di Polizia, che alla fine ne sa più di tutti malgrado le vanterie dei due fratelli che, come fossero investigatori navigati e abili giocatori d’azzardo, blaterano alla stregua di provetti CSI di fronte alle rispettive consorti, perse in un mare di estasi erotica, di fronte ad un piatto di paella (o uno di spaghetti al ragù… stessa faccia, stessa razza) e un buon vinello fresco che va giù che è un piacere.

Chi di noi non l’ha mai fatto, diciamocelo: vantarsi per le proprie, minime glorie e ipotetiche fortune, tra un antipasto e uno spritz, conscio di essere sul punto di cacciar una panzana più grossa dell’altra, senza riuscire, tuttavia, a resistere all’idea di vedere la donna amata (o soltanto desiderata) sciolta e cotta a puntino in un brodo di giuggiole dall’alta carica erotica? Chi non l’ha mai fatto, va bene, alzi la mano.
Nota a margine: qualche congiuntivo in più, nella traduzione, avrebbe, come dire, agevolato.

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