Sunshine Award & i 12 blog


Allora, ve lo spieghiamo. Il Sunshine Award è un riconoscimento a catena. Ovvero: i blog che parlano di libri ci riflettono e poi segnalano, sul proprio sito, 12 tra i blog (sempre di argomento letterario) preferiti. Il premio sta tutto qui, in questo post di segnalazione.

In copia e incolla, ecco il regolamento:
  • ringraziare coloro che ci hanno premiato
  • scrivere un post per il premio
  • passarlo a 12 blog che riteniamo meritevoli
  • inserire il link di ciascuno dei blog che abbiamo premiato
  • dirlo ai premiati

E così, eccoci anche noi, con la nostra lista personale.

  1. Angolo Nero
  2. Centostorie
  3. Come la carta
  4. Dei libri passati, presenti e futuri
  5. Destinazione Cuore Stomaco e Cervello
  6. I libri di Elisa
  7. In Between Words
  8. La libreria immaginaria 
  9. Libri in metro
  10. Notte di nebbia in pianura
  11. Taccuino all’idrogeno
  12. Who’s the reader
…ma ce ne sarebbero moltissimi altri…

Propositi per l’anno nuovo: cosa troverete su ADC, se avrete la pazienza di seguirci

Il 2010 è trascorso all’insegna del di tutto di più, ovvero come conciliare ufficio, famiglie, figli e libri sul comodino. Ce l’abbiamo (discretamente) fatta, visto che il nostro Anobii per il 2010 ne conta 40, di letture, a cui dobbiamo aggiungerne almeno altre 10, spiluccate tra librerie e web. Ecco, il problema sta quasi tutto qui: Anobii.

A causa di una sorta di bulimia letteraria ci eravamo invaghiti della questione “mega biblìon, mega kakòn” (“grande libro, grande male”, come dicevano i nostri amici d’età ellenistica, per rifuggir da Omero e dalla troppe parole: ovvero, fuga dal “mattonazzo”, per farla triviale). Twitterando: ha voglia di leggere libri da una settimana: più sono, meglio è, ché in tanti hanno qualcosa da dire ed è un peccato farseli scivolare tra le dita.
La qual cosa funziona, soprattutto se si ha la fortuna condividere la fatica con un paio di collaboratori geniali, rapidissimi a suggerire pagine davvero degne di lettura – e tutto quello di cui abbiamo parlato qui su ADC lo è stato, degno, e lo è tutt’ora.
Tanti narratori: conosciuti, citati, recensiti, eleganti, minori, nascosti, dimenticati. Del presente ma anche del passato: ci siamo innamorati dell’Irene Némirovskj, abbiamo approfondito Yates e la provincia americana, anche con l’aiuto, inatteso, di alcuni JG Ballard d’annata a far da contrappunto e di un Nabokov in rilettura “adulta”; abbiamo passato notti di febbri infantili, chini su lettini in penombra, a cambiar pezzoline bagnate, in compagnia di Teresa Solana e dei suoi fratelli Estivill – Martínez e abbiamo incontrato (anche via Anobii) un paio di autori italiani che ci hanno stupito per freschezza e acume – e per un utilizzo preciso e puntuale della lingua, così inaspettato da farci venire il capogiro, a noi filologi impenitenti.

Eppure, per la serie squadra che vince non si cambia, quest’anno sarà diverso.

Si dà il caso che molto probabilmente (forse) capiterà di avere a disposizione qualche momento di calma in più, giacché i vari figli si volgono ad affrontare, oramai, età consone alla conversazione, al gioco in solitaria, alla scuola materna e alla nanna filata 21-07, tutta roba fantascientifica al solo pensarla un anno fa.
L’idea è quindi quella di sparire tra pagine e pagine e, vittime di una sorta di indigestione mediatica da statistica Anobiiana (vedi la pagina relativa, tutto un florilegio di misurazioni scientifiche del tipo scopri-quanti-libri-hai-letto-e-a-quante-pagine-corrispondono – da dire che noi siamo un po’ sensibili all’argomento e delle volte ci fa specie anche la parentesina sulla destra di ogni titolo, avete presente, quella in cui viene indicato il numero di persone che hanno la tal opera in libreria), dicevamo, fregarcene di tutto il quantificabile e abbandonarci, ebbene sì l’avete capito, proprio al… (eridaje) mattonazzo.
Mattonazzo d’autore, però – o almeno, quelli che ci paiono tali, poi magari prenderemo delle sòle pazzesche, di cui non vi parleremo visto che qui su ADC ci occupiamo solo, per scelta, di quello che ci è piaciuto assai, e la stroncatura pseudoprofessionale la lasciamo ad altri e più in gamba di noi.
Di bestsellers ne troverete pochini ma oramai lo sapete, che qui si legge spesso di Minori & Indipendenti, quindi, nulla di nuovo sotto al sole.
Ora, piccola nota tecnica: opera “lunga” non significa di necessità lettura lenta. Anzi.
E ve lo dimostreremo, abbiamo già un paio di casi all’attivo che non vediamo l’ora di sottoporvi.

Alcuni punti fermi, comunque, ve li dobbiamo: primo fra tutti, il ritorno dell’Irene, ché dobbiamo assolutamente concludere (per passare poi a Maugham W. Somerset, che abbiamo scoperto con “In Villa” – ma non ne avevamo parlato, qui? Sacrebleu! Vedremo di recuperare al più presto) e di cui abbiamo da parte, per una sorta di caso fortuito, (o ben congeniato dal Demone Celeste dei libri, questo nessuno lo sa, sicché siamo ancora e sempre in dubbio sulla questione marzulliana del sei tu che scegli i libri o sono i libri che scelgono te) i romanzi più lunghi e densi di maturità.
Vorremmo avere per le mani anche il terzo e ultimo volume dell’Iliade Napoletana, questione che ci preme parecchio (autore avvertito…) e l’idea è anche quella di completare Yates, sempre che ci torni l’ispirazione (Yates non si può leggere se manca quella).

Il progetto è ambizioso, ché si compone di una parte ancora più complessa: leggere due opere in parallelo, una “grande” e una “piccola” – psicodramma esistenziale MAI affrontato da nessuno qui in redazione, più per testardaggine che per intima convinzione.

Motivazione duplice, e in entrambi i casi opportunistica: 1) per offrire qualcosa in più ai nostri lettori, che sennò dovrebbero aspettare settimane tra un post e l’altro; 2) perché siamo convinti, anzi convintissimi, che qui in redazione nessuno riuscirebbe a reggere 20, 30 giorni di fila con in mano un solo e unico testo. Assisteremmo alla nascita di una Nuova Disciplina Olimpica: il Lancio del Libro nel Cestino della Carta Riciclata.

Quindi, che dire, se non… Buona Lettura!
E per favore, se venite a trovarci, compilate il sondaggio di opinione. Per noi è importante!
Grazie a tutti per la vostra fiducia. Noi, da parte nostra, faremo del nostro meglio (anche via Twitter).

Consigli per la lettura numero 3: “Yo-oh-oh e una bottiglia di rum”. Parte prima.

Nota a margine: pieno diritto del lettore quello di saltare l’introduzione personale alla questione (esageratamente prolissa).
Per farlo, si clicchi qui: “non ci interessa il background” e andrete direttamente all’analisi di quel che vogliamo proporvi.
La storia inizia qui, da una credenza di poco conto abbandonata nel garage. Twitterando, Del Demone Celeste, ovvero, quel che, da leggere, ti capita tra le mani per caso, come un TESORO di pirati nascosto in una vecchia cassa umida e polverosa.
Una vecchia parente, acquisita da parte di cognato materno e passata a miglior vita oramai un decennio fa, di famiglia ricca e di origine avvocatesca, aveva la fissa per i club di lettura, che frequentò con soddisfazione e gloria personale dagli 82 ai 101 (perché dai 50 agli 80 si era dedicata con sfarzo ad altre attività ludiche, quali gite in montagna, sci di fondo, scampagnate domenicali in collina, decoupage, ikebana, cucina etnica e, last but not least, collezione di opere d’arte pittorica).
Si diceva. Assieme a giovani pulzelle tali quali a lei si ritrovava, una volta a settimana, a casa dell’una o dell’altra, un pomeriggio di tè e vassoi di confectioneries serviti dalla domestica, per commentare i libri assegnati e letti di volta in volta.
Di tutto questo fulgore di cristalli e tintinnii di preziosi alle orecchie, a noi, parenti lontani non è rimasto – e non è mai pervenuto altro, né ante, né post mortem, – che qualche scatolone pieno zeppo di libri.
Magra eredità, si potrebbe pensare. E invece no, e ora vi spiego il perché.
In parte si trattava di libri usati, che una parente di mia mamma era solita prendere a prestito dalla libreria per dare senso a interminabili e noiosissimi pomeriggi estivi che si trovava a condividere con la signora in questione, la governante straniera e i nipoti piccoli (che i vari fratelli usavano lasciare a balia per l’estate) nella famosa casa di campagna di cui la signora era proprietaria.
La signora, di memoria lieve e portafoglio ampio, si curava poco dei suoi possessi letterari e quindi – a meno che non si stesse parlando di edizioni di vero pregio artistico – lasciava che i suoi volumi circolassero liberamente tra parenti, nipoti e appartamenti, più per vaghezza che per filantropia.
Di conseguenza, molte delle sue letture hanno condiviso il destino dei libri prestati e più restituiti, un bookcrossing ante litteram di pagine scambiate, lette, ricordate e poi dimenticate.
Per il resto, si trattava di libri nuovi, tutti regali per le feste di Natale, i compleanni e gli anniversari, consigli per letture di nicchia, poco commerciali, che venivano direttamente dal famigerato club di nonnine chic.
Saggi di arte figurativa, scrittori del nord Europa, all’epoca veramente di avanguardia, design anni ’70.
Sarà, ma io li ricordo con affetto, quei volumi che hanno popolato la mia giovinezza. Parlo soprattutto dei “reminders”. Gli Adelphi colorati di confetto; i Sellerio, con la copertina di carta lavorata, impreziosita da misteriose illustrazioni lisce lisce.
Volumi letti, senza dubbio, ma sempre in ottimo stato, ché la signora non amava la piegatura della costa e le orecchie a modo di segnalibro. E, su tutto, un leggero profumo di borotalco di lavanda. E le note a margine.
Come le adoravo, quelle note.
Al principio, subito in prima pagina, nome, luogo e data, in alto a sinistra, una penna nera dalla mina sottilissima, sempre, per un tratto piccolo e discreto. E poi, quando meno te lo aspettavi, una nota a margine, perduta tra le pagine. Un asterisco, un puntino ricamato più volte, un “vedi pagina”, un punto esclamativo.
Tutto questo per dirvi che “Il canto dell’equipaggio” (Pierre Mac Orlan, Sellerio 1996, a cura di Ispano Roventi) l’ho trovato nel garage della sorella di mamma, in una credenza classe 1970, spostata e aperta per caso. Benché il volume, questa volta, non rechi con sé alcun segno di riconoscimento, sono quasi certa della sua origine, perché, a naso esperto, porta ancora un vago, vaghissimo sentore di lavanda.
E siccome a libro capitato per le mani, come dice il demone Celeste, non si rinuncia, eccoci qui.

Consigli per la lettura numero 3: “Yo-oh-oh e una bottiglia di rum”. Parte seconda.

Allora. Con “L’isola del tesoro” ci cresci. Con “La vera storia del pirata Long John Silver”, ci rifletti sopra. Con “Moby Dick”, prima ci cresci (sudandoci sopra, sempre se riesci a finirlo alla prima lettura, questione non scontata), poi, a seconda lettura, a decenni di distanza, ti perdi via con l’illuminazione esistenziale. L’ “Odissea” ti trascina in uno zibaldone di questioni irrisolte, dalla filologia classica alla filosofia arcaica.
Se poi ci aggiungi anche “Robinson Crusoe”, fino ad arrivare al Tom Hanks di “Cast away”, allora non puoi più uscirne.
Con “Il canto dell’equipaggio” (Pierre Mac Orlan, 1996 Sellerio – curatore Ispano Roventi *) scopri qualcosa che ti pareva di aver perduto per sempre (e della perdita, non è che proprio te ne fossi reso così conto, così come un profumo che ricordi di aver dimenticato solo quando lo senti di nuovo).

E’ il trionfo della narrazione ipnotica, di ritmo metrico, una storia di mistero e avventura raccontata così come ce le raccontavano da bambini, con tutti i topoi al loro posto.
  • La presentazione dei personaggi, che giacciono languidi in uno stato di calma apparente ed equilibrio instabile: il buono, il cattivo, l’approfittatore, il tontolone di turno, le spalle comiche e tragiche, le donne scaltre e, a far da contrappunto, le servette sciocchine tutte moine e sorrisi – a noi sono venute in mente le tre sorelle fatte in serie della Bella e La Bestia Disneyana, le ragazze della taverna, intendiamo, quelle del “quantoèbravoGaston/quantoèfurboGaston”;
  • il ritrovamento della mappa e, di seguito, l’introduzione del meraviglioso e del fantastico;
  • la preparazione del Viaggio (le vele, l’equipaggio – il capitano dalla barba rossa, l’uomo senza un braccio o con una benda all’occhio, il mozzo di colore, il “cerusico”);
  • le pietre preziose come merce di scambio, i pugnali e le pistole di contrabbando;
  • gli eden tropicali perduti, terre dai colori sgargianti popolate da animali fantastici e uccelli dal piumaggio dorato, iante ricche di frutti maturi, golosi, e forieri di morte e veleno. Ad uso e consumo del pubblico over 18, gli accenni alle femmine procaci, vestite di nulla, la pelle ambrata dal sole e dal mare; gli aromi intensi dei tabacchi profumati e i giardini di palme ombrose, nascosti tra mura arroventate dal sole dei tropici; descrizioni senza luogo e soprattutto senza tempo, in cui la Storia del mondo (ricordiamo, siamo nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale) non va certo di pari passo con il tempo del romanzo, che ci riporta semmai indietro, a secoli precedenti, come se il Tempo, quello vero, tornasse e refluisse in un pensiero di intima circolarità;
  • e poi, ovviamente, l’Avventura. Con la A maiuscola. Quella immaginata, tracciata a pennarello rosso su fogli di carta a quadretti che la mamma ci aveva bruciato ai bordi, coi fiammiferi della cucina.
E last but not least la lingua, l’argot più profondo e misterioso, proprio quello che usavamo da bambini, quel linguaggio tutto nostro creato ad arte con l’amico del cuore e di avventure, un patto di sangue vòlto ad escludere, a priori, chi del nostro gruppo di pirati non faceva parte.

Vi consigliamo, a fine lettura, il bellissimo saggio che funge da prefazione: “La canzone dell’avventura” di Ispano Roventi. Non abbiamo veramente nulla da aggiungere.

– “L’isola del tesoro”, Robert L Stevenson, 2009 BUR
– “La vera storia del pirata Long John Silver”, Bjorn Larsson, 1998 Iperborea
– “Moby Dick”, H Melville, 2004 Mondadori
– “Robinson Crusoe”, D Defoe, 2003 Mondadori


* NB: purtroppo l’immagine della copertina di “Il canto dell’equipaggio” non è disponibile su Anobii. Siccome siamo un po’ ligi con i copyrights, non la peschiamo da altre fonti non accreditate.

"La vita di Irène Némirovsky", di Di Patrick Lienhardt, Olivier Philipponnat. Consigli di lettura: una biografia "pubblica"

More about La vita di Irène Némirovsky

Abbiamo fatto i compiti quest’estate. Diligenti, abbiamo preso dallo scaffale la biografia dell’Irene, l’abbiamo messa in valigia e ce la siamo letta tutta, da cima a fondo, seduti comodi sul tavolino in terrazza, un matita dell’Ikea in mano e la tisana digestiva nell’altra, ché di sera, sui monti, scende l’umido.
Twitterando: dedicato a chi ha tempo da perdere – in una delle applicazioni più rognose che esistano quando si parla di fruizione consapevole del testo: lettura lenta & continua, seppur frazionata tentando di destreggiar se stessi tra rimandi, note a piè pagina, virgolettati, bibliografia. Ma ce la si può fare, se sospinti dal desiderio di dover, per forza e per orgoglio, capirne un po’ di più, di questa Irene.
Abbiamo letto in giro di come si sia storto un po’ il naso, di fronte ad un’analisi che privilegi, come in questo caso, l’aspetto letterario – pubblico verrebbe da dire – piuttosto che quello personale, privato, intimo.
Quando una lettura delude le aspettative ci capita, talvolta, di ripensare al “cosa sarebbe successo se”. Abbiamo tentato il passatempo anche questa volta, per vedere se, davvero, l’approccio all’Irene avrebbe potuto essere diverso.
Ne abbiamo convenuto che, ma anche no.
Intendiamoci.
Dal punto di vista contenutistico ne sarebbe venuto fuori un gran pasticcio, certo un po’ più fruibile rispetto alla mera cronaca, tra testimonianze (poche) di vita privata e inevitabile ricostruzione pseudo-romanzata, il tutto inframmezzato dalle note a piè pagina, che sarebbero rimaste ad ergersi quale unico baluardo (indifeso, perché non più supportato dall’utilizzo delle fonti) di testimonianza storica oramai relegata al ruolo di “se hai voglia leggi qui, ma anche no”.
L’Irene non era abbastanza famosa, nemmeno quel tanto che sarebbe bastato perché qualcuno si prendesse la briga di scriverne, in vita.
E nessuno avrebbe potuto testimoniare per lei, tra i parenti: né gli zii dispersi in Russia, né le figlie, che di lei serbano un ricordo di bambine, né la madre, né le rare amicizie. La testimonianza diretta avrebbe lasciato il posto a fatti romanzati, di natura incerta e validità storiografica di dubbia qualità.
La scelta degli autori ci è parsa la più autentica possibile.
Primo, perché ci restituisce un po’ di umiltà perduta. Pensare alla biografia dell’Irene come alla narrazione più o meno romanzata di un talento letterario in fuga dal Nazismo sarebbe stato, ancora una volta, dare adito a quel sentimento di orgoglio che spesso ci spinge a credere che l’unico atteggiamento consono per un lettore moderno sia la dominazione del testo. L’atteggiamento voyeuristico avrebbe fatto presa, ma non era questo l’approccio e soprattutto non era questo il fine.
L’analisi “paleografica” inoltre era l’unico sistema, in mancanza di testimonianze dirette, per identificare e porre in corretta luce tutta una serie di tematiche la cui omissione avrebbe, oltre che svalutato l’opera, anche creato alcuni problemi di interpretazione: l’analisi della stampa dell’epoca, i quotidiani, i settimanali, il romanzo a puntate, i rapporti tra editoria e politica e via di seguito.
L’approccio voyeuristico avrebbe magari dato più riscontro in termini di gradimento, ma avrebbe offerto un’immagine della scrittrice totalmente avulsa dal reale.
Irène Némirovsky non ha avuto una vita particolare, o più particolare di altre – certo, denaro a parte.
Il sensazionalismo non era di casa, presso la famiglia Epstein. Il rapporto con la madre, “solo” una famiglia difficile, come ce ne sono tante altre e come ce ne saranno.
Dipingere un “caso Irene” avrebbe avuto come risultato la mera e sterile creazione di un personaggio fittizio, da gran teatro, che nulla avrebbe avuto a che fare con quella figura di donna oramai così familiare ai nostri occhi: una donna minuta, né bella né brutta, affetta da una grave miopia, amante della vita tranquilla, della propria casa, dei propri affetti.
Ed è proprio questo spirito di tranquilla normalità, che affiora senza indugi, in ogni pagina, in ogni nota, ad offrire la chiave di lettura più autentica: una donna come tante, che ha saputo, grazie al talento, trasformare la sua vita nella vita di molti altri. 

Consigli per la lettura 2: vacanze estive

Per queste vacanze estive, il consiglio è quello di dedicare parte del vostro tempo libero alla Letteratura di viaggio “non convenzionale”: una letteratura che accomuna lo spostamento fisico al viaggio spirituale, intimo, all’interno del sé. Libri in cui i luoghi visitati, con le loro bellezze e i loro misteri, altro non sono se non mezzi per dare inizio – o decidere di terminare – una ricerca interiore e personale, profonda e decisiva.

Ecco i titoli che vi proponiamo:

A. Desai, Viaggio ad Itaca, Einaudi, Milano-Torino 2005 (qui)
P. Bowles, Il tè nel deserto, Feltrinelli, Milano 2006 (qui)
A. Niffenegger, La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo, AME, Milano 2005 (qui)

Accanto a quella maggiore, oggetto della nostra analisi, possiamo trovare altre sotto-tematiche che accomunano queste tre letture: una tra le tante, il rapporto stridente tra il ruolo della famiglia come cardine per lo sviluppo interiore individuale e quale istituzione fondamentale dell’alta borghesia.
Dalla famiglia di Clare e di Matteo (“Viaggio ad Itaca”), in particolare, ci arriva un quadro disincantato e sempre attuale di come la ricchezza, l’affermazione sociale, la necessità del rispetto delle convenzioni possano in qualche modo minare talvolta la spontaneità, la verità dei sentimenti e gli affetti.
La famiglia, gli affetti, la vita che ognuno di noi ritiene degna di essere vissuta non sono necessariamente ciò che ci circonda ma sono ciò che creiamo con le nostre mani – gli uccelli di carta che Claire crea nel suo laboratorio, la passione di Laila (“Viaggio ad itaca”) per la danza, gli studi non convenzionali intrapresi da Matteo (“Viaggio ad itaca”) per un breve periodo – e che condividiamo con le persone che scegliamo come nostri compagni di viaggio, al di là di ogni convenzione, di ogni regola, di ogni conseguenza.