"Sorella morte", di Bruno Agostini

More about Sorella morte Chissà se un giorno avremo la fortuna di ritrovare tutti i compagni di viaggio che abbiamo incontrato tra le pagine dell’Iliade Napoletana.  

Nessun protagonista principale, nessun narratore esterno onnisciente, ma una serie di comprimari e di punti di vista interni multipli che danno voce a una coralità composita di arte e teatro 
Il parallelo con il poema omerico, fatte le debite, ovvie e sostanziali differenze, evidenzia la similitudine di struttura (canti / interruzione di sezione) e una certa consonanza nelle modalità di fruizione del testo, a tematiche e sottotematiche stratificate.  

La struttura ad interruzione di sezione, che porta a frequenti cambi di scena – che aumentano con rapidità esponenziale a mano a mano che la narrazione si avvicina al climax della conclusione, consente la focalizzazione sui diversi filoni narrativi che compongono l’opera, collegati l’uno all’altro da uno, o più personaggi interni alle vicende:  
  • le indagini a tutto campo dell’ispettore di Polizia Carmine Bonocore, impegnato, insieme ai colleghi e ai superiori, nella lotta all’Organizzazione ma anche nella risoluzione di quotidiani (ma non troppo) casi di cronaca, tra cui la vicenda inquietante della sparizione di Attilio De Rosa, maestro di scuola, vittima a quanto pare di un sequestro di matrice satanica e la cruenta esecuzione di due manovali extracomunitari collegata molto probabilmente a un regolamento di conti avvenuto nell’orribile mondo del traffico illegale di organi e nella tratta degli schiavi-bambini  
  • le vicende dell’Organizzazione stessa, guidata da Don Alvaro Spasiano, sovrano iracondo a cui fa capo tutta una serie di protagonisti di minore o maggiore rilievo, dalla manovalanza Chiattillo / L’Afgano a Donna Lisetta Gargiulo la cui figura, in questo ultimo volume, diviene economicamente utile per l’introduzione del filone “iberico” della narrazione, anche qui composta da più comprimari a far da specchio alla realtà italiana:  
  • le forze di Polizia locali, esemplificate da Francisca Vidal de La Cuesta, Evaristo Melina e Antonia “Ana” Gil – che a sua volta, attraverso il piccolo Manuelito, ripropone il tema dell’immigrazione illegale e del commercio di organi e di bambini – presentano al pubblico, fedeli contrappunti alla realtà italiana, i maggiori esponenti della malavita peninsulare: Aingeru Alarte e Riccardo Restepo
  • e poi, a far da cornice, tutta quella serie di vicende secondarie, un po’ comiche, un po’ tragiche, un po’ grottesche, a volte drammatiche, che hanno il merito di offrire una caratterizzazione vivida dei personaggi che completa, definendoli, spessori e profili: Carmine Bonocore alle prese con tragiche crisi di coppia (rigurgito extraconiugale incluso) fomentate da un primo figlio infante che di dormire e di star zitto per due ore di seguito neanche se ne parla e mitigate da una serie di sedute psichiatriche che ci fanno all’improvviso compassionevoli, data la caratura del paziente in esame, verso tutti i terapeuti del mondo, nessuno escluso; Domenico Ferrante, il libraio antiquario, chino a spolverare libri e dolori di affetti perduti tra rimorsi e rimpianti; Vittorio Camporesi, giornalista di talento vittima dalla cocaina e dal mal di vivere; il nobile e ricco notaio Federico Hemmerlink che, chiuso nel suo palazzo dal passato glorioso e dal presente vetusto, tra broccati e marmi di pregio si diletta nella sottile arte dell’occulto, e forse non solo in quella. E, infine, la nostra bellissima Elena Alliuto, che tanta parte ha avuto, e ha tutt’ora, in più di una delle vicende narrate.  
Il mondo dell’Iliade Napoletana non si limita soltanto all’opera di fantasia. E’ una narrazione profondamente radicata nel territorio e nel tempo e quindi, proprio per questo, si trasforma in un certo qual modo in un’opera didattica. l’Iliade Napoletana, come accade per ogni opera letteraria correttamente contestualizzata, non è solo narrazione di fantasia: è finestra aperta su quelle oggettive e reali sostanzialità spazio-temporali che la strutturano dall’interno (ne avevamo parlato anche con “Re di Bastoni, in piedi”, altro incredibile esempio di “letteratura partenopea” di recentissima pubblicazione e ottimo successo).  La tradizione culinaria e la cucina regionale, la lingua e l’espressione dialettale, la ritualità della religione popolare che scivola spesso nella superstizione e nel misticismo e, ahimè, anche la malavita nelle sue più scure e declinate caratteristiche, identificano, senza errore, una marcata regionalità, tutta italiana, che lungi dallo sminuire il testo, lo esalta nelle sue peculiarità letterarie.

"Grigio cenere", di Bruno Agostini

More about Grigio cenere Il secondo volume della “trilogia Agostini” è questione difficile, da affrontare con cautela; pena, l’affanno nell’analisi delle sottotematiche e la svalutazione di alcune meta-letture che ci paiono, invece, degne di approfondimento.
Transizione e trasformazione, queste le prime osservazioni a passare per la mente.

Transizione: l’equilibrio precario ed instabile del primo volume lascia il posto ad una realtà complessa e in divenire, un passaggio a Nord Ovest verso mondi diversi e sconosciuti.
Dalla finanza creativa all’archeologia di contrabbando, dalla politica corrotta ai baroni universitari (un filo rosso di personaggi che si lasciano, si perdono, si ritrovano e si allontanano in un continuo gioco di elastico teso) lo scenario muta, veloce e improvviso come quinta di teatro.
Le contestualizzazioni dell’azione, così diverse tra il primo e il secondo volume, lungi dal frammentare il reale lo fanno composito, sfaccettato, eppure univoco, a mostrare la varietà cangiante di un mondo vivo, fremente, in continua evoluzione e trasformazione.

Finestre che si aprono e si chiudono su vite e mondi paralleli, sovrapposti l’uno all’altro come realtà alternative e compenetrate: gli esponenti dell’Organizzazione (Lisetta Gargiulo con la sua “piccerélla”, don Marzano e don Alvaro, e tutta la bassa manovalanza) e l’Ispettore di Polizia Carmine Bonocore; la nostra amata Elena e il giornalista Vittorio Camporesi; Da Ponte l’antiquario corrotto e il Professor De Castro; don Mimì e la sua libreria e, su tutti, Titina, punto di contatto e di transizione tra molti, se non tutti, i personaggi, e sovrana indiscussa della trasformazione più profonda.

Così come l’astrattezza del bianco si mescola al buio del nero e sparisce nel grigio cenere, così la realtà dell’esistenza, molteplice e composita, è un Giano Bifronte in continua trasformazione, una chimera a sei facce, come quelle che compongo la figura geometrica del parallelepipedo che per sua natura mostra solo una faccia per volta ma, in realtà, di facce ne ha altre cinque, che rimangono nascoste.
La realtà cambia forma, a seconda del lato da cui la guardi (o del lato che ti è dato guardare).
Ce lo fa capire Elena, nella sua riflessione sulle madri indegne e sui figli sfortunati (pag 409). E ce lo fa capire prima ancora Titina, quando, accompagnando Elena in gita agli scavi di Pompei, rivela alla nuova amica il lato oscuro della sua esistenza.

Doppia lettura e doppia interpretazione per tutti personaggi primari.
Lisetta Gargiulo, membro dell’Organizzazione e madre amorevole, vittima di un ingranaggio terrificante di morte e distruzione.
Carmine Bonocore, a metà strada tra il servitore dello Stato senza macchia e senza paura (che però, a quanto pare, accetta di entrare nelle forze dell’ordine per mero calcolo economico ed opportunistico) e il padre di famiglia, una famiglia sconclusionata come tante, con moglie, figlio e psichiatra a carico.
Don Marzano, esponente di spicco di un’organizzazione malavitosa, eppure conservatore (va da se’, ingiustificabile) di principi atavici di rispetto ed onore di fronte alla terra, alla famiglia, alla donna, al comune senso del pudore.
Alvaro Spasiano, la cui ultima, teatrale immagine ci riporta a una stanza vuota; un tavolo abbandonato, intorno odore di fumo e tensioni e corpi: una festa macabra di morte, violenza, vendetta, consumata con un riso tirato all’angolo della bocca e il veleno in gola.
Elena, un turbinante esempio di ragione e sentimento, tutto mescolato assieme in un gomitolo di lana inestricabile. Specchio della verità, il suo nuovo appartamento dai mobili bianchi, verniciati e immacolati, che conserva al suo interno, nascosti tra librerie e tendaggi lindi, il libro dei proverbi napoletani e i versi ipnotici di Enzo Avitabile, quasi stessimo per entrare nell’antro di una moderna Sibilla Cumana.
Vittorio Camporesi, giornalista dal talento forte e intuitivo, perso e smarrito (per ora) nei deliri tossici della cocaina.
Don Mimì e la rivelazione finale, transizione e trasformazione che passa di necessità tra lacrime e dolore, sangue e tumulti.

Il grigio cenere, se spazzato via, scopre mondi passati (quello che non siamo più) e mondi presenti (quello che siamo ora): i corpi degli uomini di Pompei, nascosti dalla cenere del Vesuvio e ritornati alla vita attraverso il bianco del gesso, mostrano, agli occhi di Vittorio, il legame indissolubile tra morte e conservazione (pag 257) – ovverosia, parafrasando, la trasformazione che sempre ci accompagna e alla quale l’essere umano, seppure volendo, non può sottrarsi.

"Il Direttore Generale", di Bruno Agostini

More about Il direttore generale Ho atteso un po’, per parlarvi di questo. In primis, per rispetto verso l’autore. Glielo dovevo perché lui, con le parole, ci sa giocare alla grande. E poi ho dovuto rifletterci sopra, e pure attentamente. Perché ogni libro ha la sua storia, la sua magia, il suo Momento Giusto.
La storia di questo libro parte proprio da qui, dal Web. E lo ringrazio davvero, il Dottor Agostini, intendo, perché senza la sua segnalazione (come dire, un bel consiglio di lettura, un sasso lanciato nello stagno), mai e poi mai ci sarei arrivata, all’Iliade Napoletana. Questo per dire di quanto io sia ancora indietro, sulle “Minori”.
L’ho lasciato lì, il libricino, in formato url, segnato a copia incolla sul blocnotes giallo del mac. A decantare, qualche settimana, solitario. Del perché.
“Ah, Agostini?” Mi chiede la signora allo stand della Robini, a Torino – gentilissima. “Posso domandarle come ha conosciuto l’opera?” 
L’avevo tra le mani, un pocket size liscio liscio, con una bella copertina di quelle goduriose, morbide al tatto e al naso. Tanti libricini hanno forma e fogli simili, una morbidezza di pagine di misura inusuale. E lo so, come si comportano, lo si capisce a priori. A mano a mano che la lettura procede, pagina dopo pagina si piegano, da destra verso sinistra. Paiono sfaldarsi, ma non è così. Rimangono uniti e compatti, sciupati dalla loro essenza di libri letti, pasticciati, rovinati dal tram, dalla sabbia del mare, dal vento che soffia sul terrazzo in una sera di temporale.
Cerco di spiegarle – alla signora, dico – la metafisica di Anobii. I messaggi in bottiglia, i contatti con gli Autori. Mi trovo a balbettare qualcosa di poco consistente, a cui lei risponde con un sorriso che non è di circostanza (forse forse, vedi che ne sa più di me, a proposito del Grande Demone Celeste dei libri capitati in mano per caso. Ma non glielo chiedo, per pudore).
Cerco di spiegarle la famosa questione del cercare i libri sui banchi delle esposizioni. Del fatto che per acquistare il titolo di cui in oggetto, io abbia aspettato due mesi e mezzo e un viaggio a Torino.
I libri che profumano, a me piacciono. Intendo, quelli che profumano davvero, non quelli che ti piazzano lì due ricette da leccarsi le dita e poi ci girano intorno cercando di costruirci qualcosa sopra. Questo qui profuma di percoche macerate nel Greco di Tufo; di malvarose; di cotoletta con contorno di peperoni e patate in padella, da mandare giù un boccone per volta assaporando i due sapori senza mescolarli, assieme a un bicchiere di Pere e’ Palummo; di friarielli e babà. E’ inutile, da qualsiasi parte lo rigiri, ne senti l’odore.
Senti l’odore del mare, della città, mille storie di persone e luoghi e sapori.
Avevo parlato di Iliade a proposito di Educazione Siberiana:
Lungi dall’essere considerate vicende reali, Iliade e Odissea venivano ascoltate, in parte, per il puro piacere della narrazione (di una potenza enorme, ipnotica, grazie all’uso dell’esametro: una metrica dotata di una purezza stilistica estrema che dava alla narrazione quel ritmo lungo del respiro che ben si adattava alla recitazione, alla riflessione e alla meditazione, ma che, proprio per questa intima circolarità, offriva la possibilità di un distacco totale dall’analisi della forma a favore di una fruizione totale su contenuto), ma anche – si diceva – quale testo didattico e di riflessione morale.
Le divinità dei poemi omerici non sempre corrispondono alla nostra idea di Entità Soprannaturale: accanto a figure mitologiche di grande spessore morale, troviamo anche creature capricciose e vendicative, abituate ad ottenere tutto il richiesto senza porsi troppi problemi in fatto di etica e giustizia.
Allo stesso modo, non tutti i protagonisti (comprimari e non) dei poemi omerici sono cavalieri senza macchia e senza paura: ci si imbatte in animi malvagi, personaggi ambigui e bugiardi, assassini e mentitori di professione. E anche gli eroi veri e propri sono Uomini a tutto tondo, che sbagliano, soffrono, maturano e attraverso questo percorso di vita creano la propria strada e influenzano quella degli altri.

La vita di Elena, così lineare, pura, semplice, ordinata, viene scomposta dal sentimento allo stesso modo in cui il vento sfiora il vaso del geranio sul balcone. Napoli, con la sua  bellezza sanguigna, scompone e sconvolge la percezione che il Direttore Generale ha di se stesso e del mondo che lo circonda.

Qui, su ADC, siamo particolarmente affezionati a Elena e al suo mondo di quotidianità perduta. Forse ci accomuna a lei il senso forte per la terra, per la Casa e per l’amicizia. Aspettiamo di leggerne le sorti, di questa storia d’amore sottile e leggera, eppure così greve.

Credo che la permanenza all’estero abbia donato a B Agostini quella cura tutta particolare per la lingua italiana che abbiamo ritrovato anche – e forse soltanto – in altri italiani “espatriati”. Rigore stilistico, attenzione per la sintassi, un vocabolario particolarmente curato che in alcuni casi rievoca un’attenzione al dettaglio proprio di una letteratura di un tempo forse ormai passato, che ancora non risentiva di globalizzazione, tecnologia e prestiti linguistici.

In linguistica (Berruto, per la precisione, 1993a), il repertorio italo-romanzo si definisce come un bilinguismo endogeno a bassa distanza strutturale, e – per non farci mancar nulla – dilalico. Va bene, proviamo a chiarire il punto.  Bilinguismo endogeno perché l’italiano è una lingua che, come oramai poche altre, conserva ancora una dualità visibile e concreta (due sistemi linguistici), quella tra lingua  e dialetto (ovvero, a bassa distanza strutturale, più bassa di quella presente in sistemi bilingui classici) – lingua e dialetto che il 90% degli italiani utilizza in maniera compenetrata, ovvero con dilalìa.

Qui, la presenza del dialetto, di alcune forme meno nobili della lingua, di una sintassi che risente spesso, consapevolmente, di varietà regionali, sono indice di una pluralità e di un ricchezza di espressione che pochi sistemi linguistici oggi possono ancora vantare e di cui dobbiamo andare fieri.

Che dire, Dottor Agostini. La attendiamo con ansia. Vogliamo sapere tutto: cosa ne sarà del nostro Direttore Generale, di Elena e di tutti coloro che hanno partecipato al loro destino. Vogliamo leggere della sua Napoli, che tanto assomiglia alla Bari dell’Avvocato Guerrieri. Curioso, entrambe città del sud Italia, così belle, così forti e vive.