
“Se qualcuno mi dice «Ehi, nel 2050 il mondo sarà di 2°C più caldo di adesso!», per educazione rispondo: «Oh, è terribile!». Ma intanto mi chiedo: «E dunque?». Se invece qualcuno mi dice: «Nel 2050 a Milano ci sarà il clima che c’è oggi a Dallas», capisco di cosa stiamo parlando e intuisco cosa significa affermare che c’è uno spostamento delle condizioni climatiche di un migliaio di chilometri a nord.” (pag55)
Alla narrative non fiction siamo ormai avvezzi. Si tratta di quel modo di scrivere saggistica che, prestando attenzione alle crescente necessità di un pubblico non competente ma interessato alla materia, coniuga la perizia – elemento imprescindibile nella stesura di un testo specialistico – a una fluidità d’esposizione esente da eccessivi tecnicismi di sapore accademico. Sistema di scrittura che nello stile e nella disposizione dell’argomento rende l’opera fruibile anche da parte di chi non dispone di competenze tali da poter affrontare in autonomia un testo specialistico di stampo tradizionale. Operazione non semplice, perché non è detto che chi ne sa molto di qualcosa possieda abilità divulgative tali da riuscire a traghettare il contenuto dei propri studi da quello a questo sistema. Non per nulla Amitav Ghosh, con il suo saggio “La grande cecità”, testo ormai di culto nella discussione sul climate change, ha sollevato – per primo – la questione dell’inadeguatezza della letteratura contemporanea nel raccontare, appunto, il cambiamento climatico. Il saggio di Ghosh è del 2016 e nel frattempo, per fortuna, ci siamo un poco attrezzati. Per “attrezzati” intendo l’esser riusciti da una parte a fare in modo che molti studiosi della materia si raccapezzassero tra procedimenti e tecniche di scrittura simili più alla fiction che alla pubblicazione universitaria, dall’altra a coltivare e spingere la discesa in campo di professionisti che, competenti in altri ambiti (quali per esempio la formazione o la comunicazione) ma utilizzando le proprie abilità, siano in grado non tanto di spiegare quanto di accompagnare se stessi – e il lettore – lungo un cammino di scoperta e apprendimento.
Questo è il caso di Daniele Scaglione – formatore e consulente aziendale, oltre che collaboratore di Rai Radio 3 nel programma Wikiradio (nonché presidente della sezione italiana di Amnesty International dal 1997 al 2001) – che con “Più idioti dei dinosauri” costruisce, a partire dalle domande che come padre si pone nei riguardi di quale sarà il futuro riservato al proprio figlio (ma anche dalle domande che i nostri stessi figli ci pongono quotidianamente), un saggio godibile, di tono leggero eppure mai banale né burlesco, che affronta per capitoli i temi cardine legati all’iperoggetto cambiamento climatico.
“Io, invece, mi sento un idiota. Così come intendevano gli antichi Greci, sia chiaro. Loro definivano l’uomo pubblico come una persona colta, esperta e competente e gli contrapponevano l’uomo privato, l’idiòtes, che se ne sta chiuso nel suo piccolo mondo e di conseguenza poco sa e meno capisce.” (pag33)
I nostri figli utilizzeranno ancora l’aeroplano, fra trent’anni? Papà, quando si rompe la nostra auto, ne comprerai una elettrica? Quando sarò vecchio la nostra città sarà così calda che non ci si potrà più abitare? Cosa mangeremo tra cinquant’anni? Dobbiamo diventare tutti vegani? Perché la pasta costa più di prima? Perché c’è il coronavirus? Siamo in troppi, sulla Terra? Moriremo tutti? Da adulto, mio figlio e i miei nipoti soffriranno la fame? Ciascuno dei tredici capitoli di “Più idioti dei dinosauri” come è evidente è dedicato a un singolo aspetto tra quelli più macroscopici che compongono il climate change affaire e che stiamo già vivendo, anche se talvolta fatichiamo ad accorgercene: riscaldamento globale, modifica delle abitudini nell’abitare e conseguenti crisi migratorie, greenwashing a opera delle grandi multinazionali, politiche economiche globali per il settore primario e secondario, la questione non da poco della giustizia ambientale, l’analisi della responsabilità individuale (a volte di fatto ininfluente se non interviene dall’alto chi davvero fa la differenza). Scaglione affronta questi temi col piglio del genitore alla disperata ricerca di informazioni – chè a ‘sti ragazzi bisogna pure contar su qualcosa di sensato o quanto meno provare a farlo – e lo fa interloquendo con chi, di ogni specifico tema, ne sa evidentemente più di lui. Il profilo dei tecnici, dei docenti, di donne e uomini di scienza interpellati da Scaglione è altissimo e si tratta per tanta parte di studiosi italiani: Daniele Pernigotti, Nicola Armaroli, Giulio Betti, Elena Granata, Marina Romanello… (arrivo solo a pag.73: considerate che “Più idioti dei dinosauri” di pagine ne conta 212).
L’autore, attraverso questo sistema domanda-risposta, si impegna proprio a raccontare storie, recuperando da questo strumento di conoscenza universale un’eredità formale fatta di limpidezza di struttura, onestà nelle fonti, accuratezza dei contenuti. E tutte le storie che l’autore ci racconta parlano del mondo – non per quello che è stato ma per quello che verrà. “Più idioti dei dinosauri” rappresenta insomma un modo singolare e nuovo di fare divulgazione scientifica, in cui l’autore smette i panni del docente che si pregia di spiegarci qualcosa e indossa quelli di facilitatore.
“Chi come me oggi ha più di cinquant’anni, alle giovani e ai giovani che denunciano l’emergenza climatica credo dovrebbe dire più o meno queste cose. «Scusateci. Abbiamo fatto un casino senza senso. Un po’ perché non sapevamo quello che facevamo un po’ perché ce ne siamo allegramente sbattuti. Avete ogni ragione di lamentarvi. Da qui in avanti facciamo tutto il possibile per sistemare le cose o, almeno, limitare i danni. Poi, al più presto e senza fare tante storie, vi passiamo le leve del comando.» (pag194)
Note: 1. Dal momento che queste testimonianze sono per lo più tratte da conversazioni, interviste, scambi di email, messaggi diretti tra l’autore e l’interlocutore o da conferenze e interventi in public speaking, in calce al volume è assente la parte bibliografica (nel caso in cui Scaglione si riferisca a delle pubblicazioni, esse sono citate direttamente nel testo) – e non sono nemmeno presenti le note a piè pagina: approccio che personalmente apprezzo molto, perché a mio parere questo sistema da una parte motiva ex silentio l’autorità in materia delle controparti interpellate e dall’altra evita quel fastidioso “vedete quanto ho letto, vedete quanto ne so” che spesso affiora da certe bibliografie, più pretenziose che utili. 2. Il volume è accompagnato dalle belle illustrazioni di Ginevra Rapisardi (che firma anche la copertina) e sull’Instagram dell’autore potete trovare i video, opere di Segheij Dell’Orso, usciti a complemento del libro. 3. Ringrazio Daniele Scaglione per l’invio della copia, una bella lettura che ho potuto condividere anche con i bambini.