“Instagram al tramonto”, di Paolo Landi

“Il social più alla moda e più glamour ci fa intendere che bisognerebbe vergognarsi di non essere felici. La foto del cane, la pasta al pomodoro con le foglie di basilico, il sorriso di nostro figlio ma anche la piscina del resort, la tavola lussuosamente imbandita, l’amore fotografato in tutte le sue declinazioni: sono questi i momenti che Instagram ci spinge a ricordare, i momenti migliori. Per dare alla nostra vita, sempre, l’immagine del successo” (Kindle pos133)

Qualche giorno fa, girovagando su Instagram, mi ero chiesta cosa sarebbe potuto capitare, lì sopra, nel caso in cui a mancare fosse stata una particolare tipologia di contenuti: quella delle esperienze. Quando cioè non fosse stato più possibile pubblicare storie e foto sulla serata al ristorante, lo show immersivo a cui siamo stati invitati in anteprima, il viaggio in India. Sicché, ieri mi sono messa a curiosare tra i profili delle varie influencer e ho notato che, ovviamente data la situazione, al momento difettano tutte proprio di quel particolare comune: la celebrazione dell’esperienza.

Nei giorni scorsi avevo condiviso la riflessione di cui sopra con Paolo Landi, su Twitter: “molte domande ma anche qualche risposta”, mi aveva risposto lui, riferendosi al suo “Instagram al tramonto”, che è un phamplet, svelto e aguzzo, scritto per spiegarci – senza alcuna lezioncina – che cosa succede nella nostra testa quando Instagram lo utilizziamo sia da utenti attivi nella pubblicazione e nel commento, sia da semplici fruitori (ehrm) passivi.

Effettivamente, attraverso l’analisi di alcuni temi cardine del sistema-Instagram (la felicità, l’economia, l’ipermercato, l’inglese, lo snobismo, la moda, il kitsch, l’arte, il cibo, gli animali, la politica, il sesso, la religione e addirittura la morte) Paolo Landi ci racconta di un microcosmo all’interno del quale vengono riprodotti “tutti i meccanismi tradizionali della società, allargandola all’universo mondo, conservando intatti gli arcaici e sempreverdi sentimenti come l’amore, l’invidia, il narcisismo, l’egocentrismo, l’esibizionismo, lo snobismo” (pos63). Tuttavia Paolo Landi è ben lontano dallo scrivere l’ennesimo lamento sterile su inutilità/pericolosità di un certo tipo di stare on line. “Instagram al tramonto” è piuttosto uno strumento che aiuta a riflettere sui processi mentali alla base dell’utilizzo di questo social, rispetto ai quali è necessario che gli utenti prendano consapevolezza.

Ad esempio il fatto che Instagram, di fatto e contro-intuitivamente, non sia certo uno strumento attraverso cui tenere attiva la comunicazione interpersonale, oppure che sia un sistema-mondo all’interno del quale le nozioni di passato e futuro non possiedono significato, in nome di un presente continuo, senza ricordi, privo di conseguenze. Ancora, viene analizzato il tema del “lavoro“, “sempre dematerializzato dalla fatica, dalla routine, dall’alienazione” (pos151) e identificato in uno strumento utile a definire criteri di differenziazione di classe. Parte del libro è dedicata al fenomeno degli influencer (“forme massificate di individualismo, ossimori viventi che incarnano una esclusività omologata” – pos259) e anche alla questione dei “consumi regressivi” ma anche a tutto quel fenomeno che celebra “l’umile e il banale, cercando di riscattarli con il pathos della realtà”, fino alla rappresentazione dello spirituale, del religioso e della morte (o meglio – della sua negazione).

“Instagram al tramonto” lo consiglio davvero a tutti: a chi di Instagram è dipendente, a chi non ce l’ha, a chi vorrebbe ma non osa, a chi da Instagram s’è cancellato. Paolo Landi è spiritoso, ironico, attento, intercetta bisogni e tendenze con uno sguardo acuto sul mondo che cambia.

Ps. Gli argomenti trattati da Paolo Landi sono parecchi. Qui sul Twitter trovate tutte le mie note, quelle che prendo durante la lettura, che comprendono anche altri temi non citati qui sul blog per ovvi motivi di spazio.

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