"I cani e i lupi", di Irene Némirovsky

More about I cani e i lupi Che dire. A noi è piaciuto Harry. Si si, proprio lui, così bello, elegante, quasi fosse un divo del cinema. Le mani delicate, lisce e così poco avvezze al lavoro manuale. Un first name così lontano dalle tradizioni familiari che più lontano non si può. Lo sguardo sdegnoso e snob, i vestiti di alta sartoria, i precettori più eruditi, l’educazione internazionale.
Eppure i capelli portati stretti, tirati all’indietro grazie a generose spalmate quotidiane di brillantina, nascondono un segreto. Sono capelli da ebreo di Kiev, scuri, forti, ricci, indomabili. E il tremito delle mani, di quelle mani da gran signore. E gli occhi, fiammeggianti di passione.
Da rifletterci, su questo Harry, specchio e parodia di tutti i tempi, e sul suo alter ego Ben. E sull’errore di entrambi: l’uno, che rinnega per imprinting materno, per convenzione, perché è così che si fa. L’altro, che piuttosto di arretrare – fosse anche solo di un millimetro – sacrifica senza alcuna esitazione vita, amori, denaro, affetti.
In entrambi i casi, medesima pena: l’infelicità eterna.
Le ultime pagine, con la descrizione del parto di Ada, sono veramente significative.
Quando affronteremo la biografia, ne sapremo un po’ di più, anche considerando la cronologia delle opere. Abbiamo però avuto l’impressione di tornare in parte (viste anche le tematiche) a “Un bambino prodigio“.
Per essere precisi, ci è tornata alla mente la questione della tappezzeria della camera.
Come se, all’Irene, il professore di Scrittura Creativa avesse dato il compito a casa: descrivere, in meno di una pagina, la tappezzeria che decora una camera da letto di una nobile residenza estiva – Russia pre-rivoluzionaria. Avevamo già analizzato il risultato.
Ecco, qui ci sembra che sia stato applicato lo stesso metodo: partendo da canovaccio noto (difficile relazione sentimentale tra due personaggi contemporanei ma separati da classe sociale, censo, situazione storica e politica, religione) sviluppare intreccio, trama, psicologia personaggi, ambientazione.
Da rifletterci confrontando l’approccio dell’Irene con la scrittura di oggi, questione su cui ci eravamo già soffermati parlando di “Due”. Talento a parte, forse la questione deriva da qualcosa di più profondo.
La società dell’epoca – in special modo quella femminile – era votata, piuttosto che all’espressione di se stessa, all’osservazione silenziosa, al ricordo, alla trasmissione della cultura orale e delle tradizioni. La continua osservazione della realtà circostante, nutrita dal silenzio imposto per ruolo e censo, aveva, tra i tanti, oggettivi svantaggi, il merito di sviluppare occhio, istinto e acume – oltre che spirito creativo e artistico.
Forse, se parte della letteratura contemporanea, per assolvere al medesimo compito affidato all’Irene al momento della stesura di “I cani e i lupi”, risolve il tutto portando in scena situazioni che non sono reali – o per lo meno realistiche, ovverosia contigue alle esperienze dell’autore, osservate, analizzate e poi rivisitate, ma solo fittizie (ricorrendo ad escamotage quali personaggi limite del patologico o a generi letterari come l’Urban Fantasy) ciò dipende in parte anche dalla ormai ridotta capacità di osservazione, verifica, introspezione, che in alcuni casi è stata sostituita da una marcata espressione individuale che talvolta privilegia il sé piuttosto che l’unità sè-tutto.
Ultima nota, onore alla traduzione.

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